Il 28 dicembre 1979 l’Unione Sovietica invase l’Afghanistan. Qualche giorno dopo il presidente Carter dichiarò la sua volontà di non mandare atleti statunitensi alle Olimpiadi moscovite che si sarebbero dovute tenere qualche mese dopo. Per ritorsione. Gli sforzi della diplomazia furono quasi subito annullati dall’arresto del dissidente Andrej Sacharov (poi deportato a Gorky). Il 24 gennaio la Camera americana approvò a stragrande maggioranza il boicottaggio: Carter chiese a tutti i paesi amici di conformarsi. Il governo italiano aveva deciso la non partecipazione ai giochi proibendo agli atleti militari di partire: il comitato olimpico nazionale ignorò il divieto decidendo di partecipare. Si trovò un compromesso bizzarro: gli atleti italiani sarebbero andati a Mosca a titolo individuale e senza rappresentare il paese. Non sarebbe risuonato l’inno nazionale e non sarebbe sfilato il tricolore nella giornata inaugurale. Oltre agli americani rinunciarono tra gli altri i tedeschi ed i giapponesi. Una delegazione di atleti francesi chiese ed ottenne, durante le Olimpiadi, di essere ricevuta dalle autorità sovietiche. Per la cronaca l’Unione Sovietica risultò di gran lunga la nazione più forte con 80 medaglie d’oro, seguita dalla Repubblica democratica tedesca. L’Italia, quinta assoluta, fu prima tra i paesi occidentali con otto medaglie d’oro, tre d’argento e quattro di bronzo. Le otto medaglie d’oro furono vinte da Sara Simeoni (salto in alto), Pietro Mennea (200 metri), Federico Roman (completo d’equitazione), Enzo Gamba (judo 71 kg), Luciano Giovannetti (tiro fossa olimpica), Patrizio Oliva (pugilato, superleggeri), Claudio Polito (lotta libera, kg.48) e Maurizio Damilano, piemontese, nella venti chilometri di marcia.