LA RESISTENZA SUI MONTI DI PINEROLO…

LA RESISTENZA SUI MONTI DI PINEROLO…

Di Gian Vittorio Avondo 

Il luminoso faro di S.Bartolomeo di Prarostino che tutte le notti risplende dalla collina su tutta la pianura pinerolese è il memoriale degli oltre 600 caduti della resistenza pinerolese. Inaugurato nel giugno 1967, con l’intervento del senatore Ferruccio Parri, pinerolese di nascita, primo presidente del Consiglio del dopoguerra, il monumento è stato fortemente voluto dall’A.N.P.I. (Associazione Nazionale Partigiani Italiani) ed edificato in questo luogo perché ben visibile da tutto il circondario, e perché proprio a Prarostino si istallò il primo nucleo partigiano della zona dove, il 17 ottobre 1943, la Resistenza locale pianse il suo primo caduto (il tenente Tonino Sansone). Il bel monumento vuole essere un doveroso tributo rivolto a tutti quelli che, pur senza averne accettati i rischi, incapparono tragicamente nella rappresaglia nazifascista, pagando a caro prezzo, con la vita e con la distribuzione della casa, il solo fatto di risiedere in zona di operazioni. Innumerevoli sono i caduti civili nel corso della Resistenza nelle valli pinerolesi: dai 51 fucilati di Cumiana, ai 9 cittadini trucidati al Bric di Prarosino, ai tre fratelli Polliotti di Talucco inspiegabilmente assassinati nel corso di un rastrellamento, ai quattro borghigiani dei Pons di Pomaretto, uccisi il primo giorno di primavera del 44 nel paese che stava bruciando. A questi, va aggiunto l’interminabile elenco di coloro che dovettero assistere impotenti al rogo della loro abitazione. Un elenco che, oltre Pons, comprende gli abitanti di tutti i villaggi della Val Troncea (Pragelato) di Bourcet, Garnier, in Val Germanasca, S. Bartolomeo di Prarostino. Sta di fatto che le genti della montagna vissero direttamente, sulla propria pelle, i drammatici avvenimenti che condussero alla costruzione di uno Stato democratico e ne sono testimoni i diari, cui molti decisero di affidare i propri tormenti. Diari di intellettuali, come i pastori valdesi o i maestri elementari; umili contadini, determinati a fermare sulla carta le emozioni intese e il dramma che in quel momento stavano vivendo. Inutile cercare su questi manoscritti i grandi fatti che hanno lasciato eco di sé. Più facile individuare le ansie di chi si trovava sospeso tra la vita e la morte, con la consapevolezza che solo la casualità potesse avere un ruolo decisivo per determinare il destino. Vale la pena, a 60 anni di distanza, ricordarne qualcuno. Splendide pagine, le pagine di questi diari, scritte con mano incerta e parole consuete o talora con gli svolazzi della grafia ottocentesca (ancora usata dai più anziani) e termini aulici ed evocativi. Pagine semplici, ma fondamentali per chi ama ricostruire le vicende storiche sulla base non solo dei freddi documenti d’archivio ma dando rilievo al lato umano,più che a quello statistico. Guido Matthieu, pastore valdese di Pomaretto. “…Quattro sono uccisi: Baret Ferdinando, di anni 59. Conoscendo il tedesco può evitare che la propria casa sia incendiata, ma per impedire a un altro gruppo di soldati di appiccare il fuoco al fienile è da questi, senza altra formalità, colpito a morte. Baret Alberto, di anno 69, fratello del precedente. Vista la propria casa in preda alle fiamme cerca riparo in quella del fratello. Sta seduto su una sedia a sdraio, affranto e desolato, quando giungono gli uccisori del fratello i quali, pure senza altra formalità, lo freddano…” Bernard Arturo, di anni 40. Uscito dalla stalla, attraversa il breve spazio prospiciente, quando lo raggiunge una raffica che lo atterra. Bonaudo Alfredo, di anno 38, è seduto sull’uscio di casa, ha le sue carte di identità personali in mano, ma quei documenti non sono neppure guardati e viene colpito a morte. Il suo cadavere con quello del precedente viene trascinato verso le fiamme che divampano. La loro cremazione è evitata dai primi accorsi non appena la pattuglia incendiaria si è allontanata, non senza aver fatto bottino di quanto più prezioso ha trovato…” Giovan Battista Heritier (1858/19499 di Clèe(Roure), ultimo sindaco del comune valchisonese prima dell’avvento del Podestà nel 1925

“(26 marzo 1944) E veniamo ai guai di Bourcet: la domenica 26 calma la mattina, ma nel pomeriggio cominciarono gli incendi di Chasteiran Colet, Vayer, Gran Serre. A Chasteiran rimaneva salva una sola casa, perché isolata in mezzo ai prati, la scuola e qualche piccolo casolare. Prova della barbarie è stato il fatto del signor Charrier Ferdinando fu Giovanni, che era ammalato: venne preso dal pagliericcio da quattro soldati e portato fuori in mezzo alla campagna, fatta uscire sua moglie e incendiata la casa. Tutte queste miserie per aver avuto la disgrazia di vedere i ribelli stabilirsi nella scuola…”.

“…Il giovedì 12 ottobre 1944 una squadra dei tedeschi incendiò tutto il Greisonniere e il Sarret. A Sarret rimasero una cucina e la casa Daviot contro la Roccio Eclapà (roccia spaccata n.d.r). Oltre alla distribuzione dei fabbricati e delle raccolte ordinarie: fieno, paglia o tutta la mobilia, sono state bruciate grandi quantità di patate, grano che ancora si trovava nelle grange. A noi bruciarono tra 15 e 20 quintali di roba (…) Dopo tutti questi fatti i bravi tedeschi scendevano a Cleè di Mezzo, radunavano tutte le donne, facevano giurare che Cleè non aveva alcun ribelle, altrimenti avrebbero incendiato tutte le case…”. 

Battista Guidot-Chiquet (1879/1966) di Laval.

“…Il 10 agosto 1944 ritornarono i tedesco-repubblicani per un nuovo rastrellamento in grande stile. Requisiscono una ventina di muli con i rispettivi conducenti per il trasporto dei loro materiali. L’11 agosto bruciano la frazione Lavai, compresa la casa parrocchiale e la chiesa, perché i partigiani vi avevano installato la loro infermeria…”.

“… Il 3 agosto fu bombardata Ruà con gli aerei. Furono distrutte completamente tre case e danneggiate diverse altre. Vi furono cinque morti; di due di essi furono trovati soltanto brandelli. Danni per due milioni. Il 20 agosto nuovo bombardamento senza danni materiali, ma ci fu un morto: Griot Giuseppe di Ruà, ucciso sulla sinistra del Chisone da una bomba che cadde sulla destra, lanciando un sasso che colpì il povero Griot…”

Anonimo contadino di Grange Bovile, alta Val Germanasca.

“Sono arrivati i tedeschi. Sono andati due o tre per casa; io ho fatto vedere il mio lasciapassare e poi gli ho dato pane, latte e salame… un fiasco di vino. Hanno mangiato, poi hanno chiesto se volevo fumare. Io le ho detto: ‘Ah, io niente fumare…’ Mio fratello però fumava e allora gli hanno dato un pugno di tabacco… loro ne avevano. Poi abbiamo chiacchierato un po’, ma non ci hanno detto grosso così; non ci hanno chiesto notizie dei partigiani. Poi allora, prima di andare via un maresciallo mi ha chiesto quanto faceva. Io gli ho detto che non faceva nella, ma lui non ha voluto sentire ragioni; ha tirato fuori da una di quelle tascacce che avevano un pugno di due soldi e di due lire; c’erano 28 o 30 lire.

Loro i soldi li avevano…”.

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