Dall’ottobre 1943 al gennaio 1944, i due principali stabilimenti della RIV Officine di Villar Perosa S.p.A., la maggiore azienda italiana produttrice di cuscinetti a rotolamento, ebbero lo sgradito privilegio di occupare le prime posizioni nella lista di obiettivi strategici assegnati ai gruppi da bombardamento della Mediterranean Strategy Air Force (MASAF). Tuttavia, nonostante la potenza distruttiva degli attacchi a cui furono sottoposti, la loro attività fu bloccata solo dopo sei incursioni che richiesero un totale di 452 missioni dei bombardieri e 260 dei caccia di scorta. L’obiettivo più ostico fu il grande stabilimento RIV di Villar Perosa (Torino) che, essendo costruito entro la profonda e stretta valle del torrente Chisone fiancheggiata da alte montagne, fu messo fuori uso solo al quarto attacco, dopo che, con il primo, i bombardieri non avevano neppure raggiunto il bersaglio e con i due successivi lo avevano clamorosamente fallito.
Il motivo di tanto accanimento contro gli stabilimenti RIV derivava dalla posizione di rilievo che questa azienda aveva fra le industrie chiave, la cui distruzione era uno dei cardini della gigantesca e complessa operazione denominata “Point Blank”, studiata ed attuata dagli stati maggiori dell ‘USAAF e della RAF col preciso scopo di annientare la potenza dell’arma aerea tedesca, bloccando tutte le produzioni industriali che le garantivano il rifornimento di velivoli, componenti ed equipaggiamenti (1). Secondo i pianificatori anglo-americani, l’operazione doveva contribuire al logoramento della Luftwaffe, e contemporaneamente costringerla a combattere in difesa di industrie vitali, non solo per la produzione aeronautica, ma per quella bellica in generale, quali erano le fabbriche di cuscinetti a rotolamento. Se “Point Blank” avesse raggiunto i suoi obiettivi, le forze aeree degli Alleati avrebbero ottenuto l’incontrastato dominio dei cieli del–l’intera Europa, realizzando quindi una delle condizioni essenziali per portare al successo l’operazione “Overlord” (l’invasione del vecchio continente attraverso il canale della Manica). Una volta annichilita ❑ quanto meno drasticamente ridotta la potenza della Luftwaffe, l’aviazione anglo-americana avrebbe potuto condurre con tollerabili perdite quella ininterrotta offensiva aerea, necessaria per distruggere gli impianti di estrazione e raffinazione degli oli minerali, gli stabilimenti per la produzione di benzina e gomma sintetica, la produzione di mezzi motorizzati e quella degli armamenti in generale, ed infine sovvertire l’intero sistema di comunicazioni ferroviario, indispensabile ai tedeschi per alimentare la loro macchina di guerra.
Fra gli ambiziosi obiettivi assegnati a “Point Blank”, l’attacco all’industria dei cuscinetti era stato ritenuto una delle mosse più promettenti, sebbene accurate indagini postbelliche sui risultati ottenuti abbiano ampiamente dimostrato che il suo successo era stato solo parziale, perché i seppur pesantissimi colpi che aveva inferto erano riusciti solo a contenere il tasso di crescita ed a ritardare, ma non assolutamente a bloccare, la produzione aeronautica tedesca e quella bellica in generale. Per quanto tremendo, l’attacco all’industria dei cuscinetti non aveva completamente raggiunto i risultati ipotizzati dagli Alleati. Sebbene sia innegabile che non esisteva un componente meccanico, con un contenuto strategico superiore a quello dei cuscinetti, dato che erano essenziali per la costruzione della maggiore parte dei mezzi bellici, navali, aerei e terrestri. Tanto per fare un esempio, nel 1943 le industrie impegnate nelle forniture aeronautiche avevano assorbito il 31% dell’intera produzione annuale di cuscinetti (2).
Il piano operativo di “Point Blank” era stato approvato il I8 maggio 1943 dallo Stato Maggiore Combinato Alleato (Combined Chiefs of Staff), ma la sua attuazione era stata a lungo ritardata, perché alcuni reparti dell’VIII Air Force (USAAF), di base in Gran Bretagna, erano stati inviati nel Mediterraneo per preparare il terreno allo sbarco in Sicilia ed alla successiva invasione della penisola italiana, Inoltre, i gruppi da bombardamento dell’VIII Air Force non avevano ancora la forza e l’addestramento necessari per sfidare i reparti da caccia tedeschi sul territorio stesso del III Reich.
Il primo attacco in grande stile contro l’industria dei cuscinetti fu tentato il 17 agosto, quando 376 B-17 dell’VIII Air Force si addentrarono, scortati solo nel tratto iniziale, nel profondo cuore della Germania, col difficile compito di colpire sia le fabbriche di Schweinfurt sia gli stabilimenti aeronautici della Messerschmitt di Regensburg. Complessivamente, i due obiettivi ricevettero 724 tonnellate di bombe, all’elevatissimo prezzo di 60 quadrimotori abbattuti e di un centinaio rientrati alle basi con gravi danni. Il 6 settembre, I’VITI Air Force tentò di bombardare le fabbriche di cuscinetti di Stoccarda, ma il suo attacco falli per le avverse condizioni meteo. Il 15 successivo gli statunitensi riscattarono parzialmente l’insuccesso di Stoccarda, mettendo a segno un buon numero di bombe sugli stabilimenti di Parigi, la cui produzione di cuscinetti era integralmente assorbita dalle officine Renault che producevano automezzi e motori per le Forze armate tedesche. Comunque, la partita con gli stabilimenti di Schweinfurt non era conclusa. Infatti, nonostante la pesante incursione dell’agosto, la loro attività era ripresa in grande stile. Pertanto, il 14 di ottobre 1943 la VIII Air Force era tornata sull’obiettivo con 240 bombardieri, causando gravissimi danni alla città ed alle fabbriche di cuscinetti, che avevano perso – ma non in modo definitivo – il 67% della produzione degli importantissimi tipi fra i 6,3 ed i 24 centimetri di diametro (3). Anche questa incursione era stata tenacemente contrastata dall’artiglieria contraerei e dagli aerei della Luftwaffe. Quest’ultima aveva affrontato gli incursori con una massa di caccia monomotori e bimotori, fra cui persino caccia notturni, che, oltre ad impiegare lanciarazzi di vari calibri, avevano sperimentato una incredibile panoplia di armi, fra cui bombe esplosive ed incendiarie temporizzate, sul genere di quelle a tempo sporadicamente impiegate anche dalla caccia italiana nella difesa di Napoli. Le perdite americane erano state talmente elevate (60 bombardieri abbattuti, 17 con danni irrimediabili e 128 variamente danneggiati), che l’VIII Air Force aveva dovuto temporaneamente sospendere gli attacchi diurni contro gli obiettivi strategici in Germania (4).
L’elevata concentrazione della produzione dei cuscinetti in un ristretto numero di stabilimenti costituiva però il punto debole di questo tipo di industria, in quanto offriva all’aviazione angloamericana l’ineguagliata opportunità di distruggerla con un limitato numero di attacchi. Infatti, il 73% della produzione di cuscinetti era praticamente concentrato in sole sei città (Schweinfurt, Stoccarda, Berlino, Lipsia, Parigi ed Annecy), mentre quasi tutta la rimanente usciva dagli stabilimenti RIV di Torino e di Villar Perosa e da quello di Steyr (Austria) della Steyr-Daimler-Puch Walzalgerwerke A.G.
Di conseguenza, il primo e più pesante attacco era stato sferrato contro i tre grandi stabilimenti Kugelfischer, VKF e FAG di Schweinfurt, bene evidenziati nella lista delle priorità strategiche, poiché i loro reparti producevano il 42% dei cuscinetti provenienti dal gruppo di fabbriche controllate dai tedeschi. Il compito di battere i più importanti centri del cuscinetto dell’Europa settentrionale era stato ovviamente affidato alla VIII Air Force ed al Bomber Command• della Royal Air Force, sia perché ambedue disponevano della forza necessaria, sia perché gli obiettivi erano compresi nel raggio d’azione dei loro bombardieri. Invece, gli stabilimenti dell’Europa centro-settentrionale, che producevano il rimanente 27% dei cuscinetti, data la loro posizione geografica, furono assegnati alla Mediterranean Strategie Air Force (MASAF). Un nuovo comando aereo strategico venne costituito a fine ottobre 1943, per coordinare le azioni della XV Air Force statunitense (bombardamento pesante diurno) e del Group 205 britannico (bombardamento notturno). Gli obiettivi “Point Blank”, assegnati alla MASAF, includevano tutti gli stabilimenti aerotrautici e le fabbriche di cuscinetti dell’Austria, della Baviera, dell’Italia, della Francia meridionale e dei Balcani (5).
Dopo il costosissimo successo del raid su Schweinfurt del 14 ottobre, l’operazione “Point Blank” stava per ricevere un poderoso impulso con l’entrata in campo della XV Air Force, appena costituta in Tunisia con i reparti da bombardamento pesante e da caccia a largo raggio d’azione già appartenenti alla XII Air Force, che, dopo aver partecipato alle campagne del Nord Africa, della Sicilia e dell’Italia meridionale, stava per essere riorganizzata per nuovi compiti con la denominazione di XII TAF (Forza Aerea Tattica). La rapida occupazione della Puglia aveva appena offerto alla XV Air Force la possibilità di stabilire le sue basi sui più avanzati campi della zona di Foggia, molto più prossime agli obiettivi strategici che le erano stati assegnati. Per motivi logistici il trasferimento della XV A.F. sulle basi del Foggiano avrebbe potuto iniziare solo ai primi di novembre, e pertanto le prime operazioni di “Point Blank” partirono ancora dai lontani campi della Tunisia. Il 2 novembre, le formazioni di quadrimotori B-17 e B-24 decollate dal Nord Africa eseguirono un eccezionale raid di oltre 1.600 miglia per colpire gli stabilimenti della Wiener Neustadt Flugzeugwerke AG, situate a Wiener Neustadt (Austria), la cui produzione mensile era stimata in alcune centinaia di motori d’aereo ed a non meno di duecentocinquanta Messerschmitt Bf.109, un caccia che era il tipo più usato dalla Luftwaffe. Sebbene rischiosa, l’impresa doveva essere tentata, perché gli stabilimenti statali di Wiener Neustadt – con i loro 191.000 metri quadri di fabbricati, 7.500 dipendenti e le 12.000 persone impiegate nell’indotto –costituivano uno dei massimi complessi dell’industria aeronautica tedesca (6).
Per sganciare 327 tonnellate di bombe sugli stabilimenti della Flugzeugwerke e sul vicino
ottenuti abbiano ampiamente dimostrato che il suo successo era stato solo parziale, perché i seppur pesantissimi colpi che aveva inferto erano riusciti solo a contenere il tasso di crescita ed a ritardare, ma non assolutamente a bloccare, la produzione aeronautica tedesca e quella bellica in generale. Per quanto tremendo, l’attacco all’industria dei cuscinetti non aveva completamente raggiunto i risultati ipotizzati dagli Alleati. Sebbene sia innegabile che non esisteva un componente meccanico, con un contenuto strategico superiore a quello dei cuscinetti, dato che erano essenziali per la costruzione della maggiore parte dei mezzi bellici, navali, aerei e terrestri. Tanto per fare un esempio, nel 1943 le industrie impegnate nelle forniture aeronautiche avevano assorbito il 31% dell’intera produzione annuale di cuscinetti (2).
Il piano operativo di “Point Blank” era stato approvato il I8 maggio 1943 dallo Stato Maggiore Combinato Alleato (Combined Chiefs of Staff), ma la sua attuazione era stata a lungo ritardata, perché alcuni reparti dell’VIII Air Force (USAAF), di base in Gran Bretagna, erano stati inviati nel Mediterraneo per preparare il terreno allo sbarco in Sicilia ed alla successiva invasione della penisola italiana, Inoltre, i gruppi da bombardamento dell’VIII Air Force non avevano ancora la forza e l’addestramento necessari per sfidare i reparti da caccia tedeschi sul territorio stesso del III Reich.
Il primo attacco in grande stile contro l’industria dei cuscinetti fu tentato il 17 agosto, quando 376 B-17 dell’VIII Air Force si addentrarono, scortati solo nel tratto iniziale, nel profondo cuore della Germania, col difficile compito di colpire sia le fabbriche di Schweinfurt sia gli stabilimenti aeronautici della Messerschmitt di Regensburg. Complessivamente, i due obiettivi ricevettero 724 tonnellate di bombe, all’elevatissimo prezzo di 60 quadrimotori abbattuti e di un centinaio rientrati alle basi con gravi danni. Il 6 settembre, I’VITI Air Force tentò di bombardare le fabbriche di cuscinetti di Stoccarda, ma il suo attacco falli per le avverse condizioni meteo. Il 15 successivo gli statunitensi riscattarono parzialmente l’insuccesso di Stoccarda, mettendo a segno un buon numero di bombe sugli stabilimenti di Parigi, la cui produzione di cuscinetti era integralmente assorbita dalle officine Renault che producevano automezzi e motori per le Forze armate tedesche. Comunque, la partita con gli stabilimenti di Schweinfurt non era conclusa. Infatti, nonostante la pesante incursione dell’agosto, la loro attività era ripresa in grande stile. Pertanto, il 14 di ottobre 1943 la VIII Air Force era tornata sull’obiettivo con 240 bombardieri, causando gravissimi danni alla città ed alle fabbriche di cuscinetti, che avevano perso – ma non in modo definitivo – il 67% della produzione degli importantissimi tipi fra i 6,3 ed i 24 centimetri di diametro (3). Anche questa incursione era stata tenacemente contrastata dall’artiglieria contraerei e dagli aerei della Luftwaffe. Quest’ultima aveva affrontato gli incursori con una massa di caccia monomotori e bimotori, fra cui persino caccia notturni, che, oltre ad impiegare lanciarazzi di vari calibri, avevano sperimentato una incredibile panoplia di armi, fra cui bombe esplosive ed incendiarie temporizzate, sul genere di quelle a tempo sporadicamente impiegate anche dalla La XV Air Force non aveva incontrato quindi troppe difficoltà per dare inizio ai suoi attacchi contro gli obiettivi italiani. Il 30 ottobre, i B-24 del 376″‘ Bomb Group, un reparto assai rinomato per la precisione dei suoi bombardamenti, erano decollati da Enfidaville con un grosso carico di bombe destinato allo stabilimento RIV di Villar Perosa (9). Tuttavia, le cattive condizioni atmosferiche sulla valle del Chisone avevano offerto all’obiettivo una provvidenziale copertura di nubi, costringendo il comandante della formazione, colonnello Compton, a dirottare i suoi ventitré B-24 su un bersaglio alternativo (altri quattro B-24 erano rientrati anticipatamente). Pertanto, le 126 bombe da 1000 libbre (453,6 kg), altrimenti destinate allo stabilimento di Villar Perosa, erano state lanciate su obiettivi alternativi, che per quel giorno erano gli scali ferroviari di Genova e gli impianti siderurgici Ansaldo di Sampierdarena-Cornigliano (10).
Il primo attacco andato a segno contro le officine RIV fu quello che 1’8 novembre colpì lo stabilimento di Torino. Alle dieci antimeridiane le sirene del capoluogo del Piemonte avevano suonato il preallarme, ma l’intera mattinata era trascorsa senza la temuta incursione aerea. Tuttavia, poco dopo le 14.00, quando ogni pericolo sembrava ormai passato, un cupo rombo di motori aveva preannunciato l’arrivo di una grande massa di aerei. Torino aveva già subito pesanti attacchi notturni sferrati dal Bomber Command della RAF, ma mai era stata bombardata in pieno giorno. Il cielo terso e luminoso della mattinata novembrina permise di vedere le bianche ed inquietanti scie di condensazione tracciate nell’aria azzurra dai motori di tre compatti gruppi di bombardieri in fase di avvicinamento ad altissima quota.
La formazione era partita dal Nord Africa con novantanove B-17 dei Bomb Groups 97″‘, 99’, e 301″, scortati da quarantasei P-38 del 14″ Fighter Group: questi ultimi decollati da S.te-Mariedu-Zit (Tunia).
Fortunatamente per Torino, il carico di bombe portato dai tre Groups era diminuito di circa 40 tonnellate, perché noie meccaniche avevano costretto diciotto B-17 ad interrompere la missione, mentre l’eccessivo consumo di carburante, causato da venti contrari, aveva obbligato i caccia di scorta ad interrompere la missione all’altezza di Imperia. Pertanto, solo ottantuno B-17, é non uno dei loro angeli custodi, avevano raggiunto il cielo di Torino. Il principale bersaglio loro assegnato era costituito dal grande blocco di fabbricati a cinque piani in cemento armato, situato circa alla metà della chilometrica via Nizza, che, oltre ai reparti per la produzione dei cuscinetti, ospitava gli uffici ed i magazzini centrali della RIV. Ad alcune centinaia di metri da questo compatto quadrilatero di edifici industriali, c’erano le officine della Fiat Motori Avio e l’adiacente parco ferroviario del Lingotto. Nonostante la perfetta visibilità, una parte delle bombe aveva mancato il bersaglio colpendo il relativamente vicino grande complesso ospedaliero delle Molinette, dove quattro padiglioni erano stati completamente rasi al suolo, nonostante tutti i tetti dell’ospedale fossero vistosamente contrassegnati da enormi croci rosse. Una parte delle 183 tonnellate di bombe da 500 libbre (226,8 Kg) lanciate dalle “Fortezze Volanti” aveva debordato, devastando i quartieri operai situati in via Nizza, dirimpetto agli stabilimenti del Lingotto. Alcune altre erano invece cadute su varie zone del centro storico, ad una distanza di circa 3 km. in linea d’aria dai bersagli industriali. Una bomba inesplosa era stata trovata e neutralizzata all’indomani in via Monte di Pietà, a non molto distanza dalla celebre Basilica della Sindone.
A parte i cosiddetti “danni collaterali” causati ad ospedali ed edifici civili, le fotografie scattate durante il bombardamento e nel corso di successive ricognizioni aeree, evidenziarono che l’incursione aveva raggiunto il suo obiettivo. Un concentrato gruppo di bombe era caduto sul corpo principale dello stabilimento RIV, provocando danni talmente gravi da arrestare immediatamente l’attività produttiva. In confronto ai danni subiti dalla RIV, quelli arrecati alle vicine officine Fiat Motori Avio del Lingotto furono relativamente lievi, essendo limitati a cinque fabbricati sul lato nord. Si ebbero però più consistenti distruzioni entro le officine e gli scali ferroviari del Lingotto dove, oltre a molte tettoie e capannoni, furono distrutti: locomotive, vagoni ferroviari e grandi fasci di binari (11), Considerando che durante lo sgancio le “Fortezze Volanti” si erano tenute a quote variabili fra i 7.200 e gli 8.000 metri (12) , i risultati dell’attacco erano stati assai soddisfacenti, ma avrebbero potuto essere migliori, perché – stante la debole difesa contraerei – lo sgancio delle bombe avrebbe potuto essere effettuato da quota inferiore, con un notevole vantaggio per la sua precisione e sicuramente infliggendo minori danni e vittime alla zona ospedaliera ed a quelle residenziali.
Caccia italiani e piloti tedeschi alla difesa di Torino e di Villar Perosa
Solo l’ultimo dei tre gruppi da bombardamento, che l’8 novembre si erano succeduti su Torino, aveva incontrato una debole e tardiva contraerea, e nemmeno un caccia, perché l’unico reparto tedesco dislocato nella zona non aveva potuto approfittare della favorevole occasione di attaccare bombardieri totalmente privi di scorta. Il 2° Gruppo del prestigioso Jagdgeschwader.77 “Herz As” (II/JG.77), recentemente riequipaggiato con Macchi 0.205 di preda bellica„ era stato trasferito sul campo di Lagnasco (zona di Saluzzo) con il preciso incarico di difendere l’area del triangolo industriale Torino-Milano-Genova. Sette Macchi tedeschi, quantunque tempestivamente decollati alle 14,03, e nonostante la brevissima distanza (50 km. in linea d’aria) fra Lagnasco e Torino, erano arrivati sul cielo della città alle 14.30, appena in tempo per vedere l’ultimo gruppo di quadrimotori che, essendosi alleggerito del carico di bombe, stava allontanandosi alla massima velocità. Appena gli aviatori americani avvisarono in lontananza i sette caccia – che erroneamente identificarono come Messerschmitt Bf 109 – serrarono le distanze fra le squadriglie, onde meglio sostenere il loro attacco. Ma l’attesa fu delusa perché i piloti dello JG.77, quantunque membri di un reparto noto per la sua aggressività, evitarono di impegnarsi, sia perché – ma è solo una ipotesi – non ancora perfettamente consci delle qualità dei loro MC.205, con i quali erano alla prima missione bellica, sia perché, al momento dell’intercettazion, erano ad una quota notevolmente inferiore a quella dei bombardieri e quindi in posizione tattica sfavorevole per un attacco (13).
All’indomani venne il turno della fabbrica di cuscinetti RIV di Villar Perosa. Compito affidato al 376′ BG scortato sino sopra l’obiettivo da ventidue P-38 del l’ Fighter Group decollati da Monserrato. I ventidue B-24 del 376′, arrivati sull’obiettivo esattamente alle 12.12 ad una quota di 7.000 metri, furono accolti da batterie da 88 mm, che la Flak aveva schierato nel fondo valle a breve distanza dallo stabilimento e dalle case d’abitazione (14). Nonostante la tempestività con cui aveva aperto il fuoco e l’alta frequenza di tiro, la Flak arrecò danni irrilevanti alla formazione, che ebbe solo tre B-24 colpiti da schegge, però tutte le 110 bombe che aveva sganciato andarono a scavare profonde buche sul fianco della montagna e sugli stretti campi e sterili gerbidi” in riva destra del Chisone (15).
La negativa esperienza del mancato combattimento contro i B-17 del giorno precedente aveva evidentemente prodotto il suo effetto sul comandante del II/JG.77, maggiore Siegfried Freytag, che, messo tempestivamente in allarme, alle 11.43 fece decollare una decina di MC.205 da Lagnasco, e poi utilizzò la ventina di minuti di anticipo guadagnata sull’arrivo della formazione americana per condurre i suoi caccia ad alta quota, in una posizione tattica assai più favorevole al combdttimento di quella raggiunta il giorno innanzi. Un vantaggio abilmente sfruttato dai piloti tedeschi che, dato il numero degli avversari e la presenza dei P-38 “Lightning”, attaccarono da più direzioni divisi in rotte (coppie), che effettuarono un unico e fulminante passaggio attraverso la formazione avversaria. Tattica che fruttò l’abbattimento di un P-38 ad opera dell’Oberleutenant Franz Hrdlika, e che fu la prima vittoria ottenuta da un pilota tedesco ai comandi di un MC.205 (16). 1 Macchi del II/.1g.77 rientrarono senza perdite, tuttavia i mitraglieri americani, sovrastimando eccessivamente i risultati ottenuti, rivendicarono la distruzione di un Fw.190 (sic!) ed il danneggiamento di un altro. Il bollettino della MASAF riferì che la formazione era stata intercettata da una quindicina di caccia, fra Fw.190, Bf.109 e MC.202, che però avevano mantenuto un atteggiamento poco aggressivo, interrompendo il combattimento appena avevano trovato contrasto (17).
Visto il pessimo risultato dell’incursione del 9 novembre, ventiquattro ore dopo il 376′ B.G. andò nuovamente su Villar Perosa, questa volta con ventidue B-24 scortati da ventisette P-38 del F.G.1″ Il 376″1 migliorò le prestazioni, piazzando le bombe molto più vicine al bersaglio. Una esplose sul lato sud est, due presero in pieno un corpo di fabbricato sul lato sud, altre danneggiarono case d’abitazione cd edifici pubblici. Un paio colpirono la condotta forzata che alimentava le turbine Kaplan della centrale elettrica N° 1 (18). Fortunatamente non vi furono vittime, poiché la popolazione e le maestranze dello stabilimento si erano tempestivamente rifugiate entro vicine gallerie scavate nella montagna, che potevano ospitare 2.500 persone in posti a sedere ed erano inoltre provviste di servizi igienici e posti di pronto soccorso. L’opera, ancora oggi esistente, era stata voluta con molta preveggenza dal senatore Giovani Agnelli (senior) alla fine del novembre 1942 e realizzata a tempi di primato, entro l’agosto 1943, a cura e spese della società RIV di cui egli era il principale azionista.
Nonostante qualche colpo a segno, anche questa missione aveva fallito l’obiettivo. Secondo un testimone – Joseph Taddonio di origine italiana, sergente mitragliere su un B-24 del XV Squadron – la pessima qualità dei lanci era in gran parte dovuta ai forti venti d’alta quota che soffiavano sulla valle. Facendo tesoro della negativa esperienza del 9, per l’incursione del 10, il capo formazione aveva deciso di cambiare metodo, tentando un lancio “attraverso la valle, da cima a cima” (19). Forse, per la inattesa direzione dell’attacco, il giorno 10 le batterie della Flak avevano aperto il fuoco con un certo ritardo, dimostrando però di avere attentamente valutato ed
eliminato le cause dei magri risultati del giorno precedente. Un B-24 danneggiato fu costretto ad atterrare in Sardegna, mentre altri tre rientrarono ad Enfidaville crivellati da schegge di granata (20). Un P-38 non aveva fatto ritorno, mentre un secondo si era fracassato in atterraggio su un campo della Sardegna (21). I bombardieri avevano però pareggiato i conti distruggendo un pezzo da “88”. Era invece fallita l’intercettazione dei Macchi tedeschi di Lagnasco. Gli undici MC.205 del 11/JG.77. bellicamente efficienti, essendo prematuramente decollati alle 11.08, erano stati costretti a rientrare alla base per esaurimento del carburante, proprio mentre il 3761h B.G. stava arrivando su Villar Perosa. L’incidente fa supporre che la “guida caccia” dello Jagdabschnittsfiihrer West (Comando caccia Italia nord occidentale) non avesse ancora ben capito che l’autonomia dei caccia italiani era inferiore a quella dei Bf.109 G .
D giovedì nero del Group 205
Il quasi completo fallimento del secondo attacco su Villa Perosa non influì affatto sui programmi della XV Air Force, che – a parte alcune missioni di altro genere eseguite per impellenti motivi strategici – proseguì tenacemente nei suoi attacchi agli obiettivi “Point Blank”. L’ 1l di novembre, all’indomani del fallimentare attacco a Villar Perosa, tredici B-24 dell’infaticabile 376″‘ furono inviati a bombardare la fabbrica di cuscinetti a sfere da Annecy. Una missione di assoluto riposo per il veterano gruppo da bombardamento, perché non fu contrastata né dalla contraerea né dai caccia, pertanto tutti gli aerei rientrarono senza neppure un graffio. Eccetto questa insperata fortuna, a causa della pessima visibilità sull’obiettivo, l’attacco alla fabbrica di Annecy fu un “fiasco” così totale, che il comando del 3761h non ritenne neanche necessario stilare un rapporto dettagliato (22).
Nelle settimane seguenti, sia per le cattive condizioni atmosferiche, sia per l’esigenza di battere i centri ferroviari italiani da cui transitavano i rifornimenti per le truppe tedesche che aveva bloccato gli Alleati sulla linea Garigliano-Sangro, la XV Air Force dovette temporaneamente sospendere le operazioni “Point Blank”. Il compito di proseguirle fu passato ai bombardieri strategici del Group. 205 britannico che, nella notte fra il 24 ed il 25 novembre, inviò 76 quadrimotori “Wellington” (Wings 231, 236 e 330) a bombardare lo stabilimento RIV di Torino. La missione, oltre a risultare un completo fallimento, causò al Group. 205 le perdite più disastrose mai subite da un reparto da bombardamento notturno britannico nel corso di un attacco contro obiettivi italiani. A causa della pessima situazione meteorologica e della formazione di ghiaccio ad alta quota, 30 “Wellington” interruppero la missione. Dei 36 che audacemente la proseguirono, solo 9 raggiunsero alla spicciolata l’obiettivo fra le 21.02 e le 01.26, ma tre non furono in grado di lanciare per sopraggiunti guasti meccanici. Pertanto, invece delle 88 tonnellate di bombe che le erano destinate, quella sera Torino ne ricevette solo sette, insieme a 70.000 manifestini di propaganda. Gli altri 27 “Wellington”, che pur proseguendo la missione non avevano potuto giungere sull’obiettivo, si erano frazionati in vari gruppi. Tre bombardieri, non trovando di meglio, avevano deciso di liberarsi del carico, parte su una linea ferroviaria ed il rimanente su un paio di strade malamente individuate nelle zone di Genova, monte Gallinara e Savona. Altri 13 “Welligton”, meno scrupolosi, avevano lanciato alla cieca su zone non identificate. Un “Wellington” atterrò in Sardegna, uno in Sicilia ed uno a Sidi Ahmed, in Tunisia. Due degli equipaggi dei cinque “Wellington” di cui fu immediatamente accertata la perdita, si salvarono abbandonando i loro aerei con i paracadute. Uno di questi ultimi cadde nelle acque vicino a Tunisi ed un altro sulla Sardegna. Dei rimanenti undici aerei dispersi non è invece nota la sorte. Quasi un quarto degli aerei inviati su Torino andò perduto insieme ad un quinto degli equipaggi “Questo –si legge nella stòria della RAF — fu solo uno dei molti casi similari, ma le perdite furono raramente così alte. Fra l’altro, la manutenzione [degli aerei] era inadeguata, Il rateo dei ritorni anticipati per varie cause era del quaranta per cento”(23).
Il secondo bombardamento diurno di Torino – battaglia aerea su Piemonte e Liguria
Il completo fallimento dell’incursione del Group.205 costrinse la MASAF ad ordinare una ripetizione dell’attacco su Torino con bombardieri diurni. Il 1° dicembre, la XV Air Force inviò sulla capitale del Piemonte centodiciotto B-17 dei B.G. 2″, 97′, 99′, 301′, che, fra le 13.15 e 13.56, scaricarono 354 tonnellate di bombe da 500 e 1.000 libbre. Come nella loro incursione diurna precedente, le “Fortezze Volanti” concentrarono i lanci sull’aerea comprendente lo stabilimento RIV di via Nizza, l’officina Motori Avio della Fiat e l’adiacente scalo ferroviario del Lingotto. Fra tutti gli obiettivi, quest’ultimo fu quello colpito con maggiore precisione. Essendo il lancio eseguito da alta quota, i “danni collaterali” furono ingenti, inoltre la contraerea contrastò l’azione dei bombardieri con un fuoco intenso e preciso. A differenza degli attacchi precedenti – grazie alla guida dello Jagdabschnittsfiihrer West (Comando caccia Italia nord-occidentale) da poco in funzione a Pinerolo (24) – i bombardieri furono intercettati da sedici MC.205 del II Gruppo dello “Herz As”, nonostante fossero decollati da Lagnasco circa 10 minuti dopo che le prime bombe erano già cadute su Torino. I piloti tedeschi attaccarono il 2″ Bomb Group: una delle quattro formazioni che avevano appena sganciato su Torino. Un compito arduo perché i B-17 erano protetti da trentaquattro P-38 del 14′ F.G. che incrociavano a 10.000 metri di quota e pertanto avevano la possibilità di contrattaccare in picchiata i Macchi nel momento più opportuno. Nell’accanita battaglia aerea, che per circa 30 minuti infuriò, prima sopra il Piemonte poi sulla Liguria, i piloti dello JG.77 dimostrarono di avere acquisito una buona padronanza dei propri C.205. Nonostante la presenza dei “Lightning”, misero a segno qualche riuscito passaggio sulla formazione del 2″ B.G. piazzando parecchi proiettili su almeno cinque “Fortezze Volanti”. Sebbene i bombardieri costituissero il loro principale bersaglio, i piloti tedeschi non poterono evitare di impegnare una furibonda mischia con i P-38. Mischia cui tre dei sedici Macchi non presero parte causa l’inceppamento delle loro armi. La zuffa si risolse a vantaggio dei tedeschi, dato che il tenente Albert Funke della 6″ Squadriglia (6.36.77) spedì al suolo un P-38, mentre i suoi camerati ne danneggiarono altri due. A queste perdite, il 14′ F.G. dovette aggiungere anche quella di due P-38 scontratisi in volo nel corso del combattimento (25). Forse a causa dell’aggressività degli avversari, i piloti dei P-38 ritennero di essere stati attaccati da circa trentacinque caccia, fra Bf.109, Re.2001, Fw.190 e MC.202, di cui – secondo loro – due erano stati abbattuti ed un terzo danneggiato. Alle rivendicazioni dei cacciatori, si aggiunsero quelle dei mitraglieri dei B-17, che reclamarono la sicura distruzione di un Bf.109 e quella probabile di un Re.2001 (sic!), elevando a tre il numero dei caccia tedeschi abbattuti ed a tre quello dei danneggiati. Tuttavia, nonostante l’ottimismo degli aviatori americani, i Macchi rientrarono tutti a Lagnasco, sebbene due fossero tanto danneggiati da essere poi dichiarati fuori uso (26).
L’attacco decisivo agli stabilimenti RIV
Le inaccettabili perdite subite nelle due incursioni su Schweinfurt avevano costretto la VIII Air Force a rinviare il proseguimento delle operazioni nel cuore della Germania sino all’entrata in servizio dei nuovi caccia a grande autonomia P-51 “Mustang”. Pertanto, la prosecuzione di “Point Blank” e degli attacchi all’industria dei cuscinetti passò alla XV A.F., che nell’ultimo bimestre 1943 aveva completato il suo spostamento dalle basi della Tunisia a quelle della Puglia. Il 19 dicembre la XV AF attaccò con cinquanta B-24 la Messerschmitt di Augsburg perdendone quattro. Comunque, la XV A.F. eseguì anche numerose missioni nei Balcani ed in Alta Italia, ma su Vicenza il veterano 376′ B.G. perse undici B-24 su diciassette ed i superstiti rientrarono cosi danneggiati che il gruppo fu ritirato dalle missioni per circa tre mesi (27). Il temporaneo ritiro del 376″ I3.G., fece entrare in gioco i B-17 cui fu affidato il compito di chiudere i conti con gli stabilimenti RIV di Torino e di Villar Perosa.
Alla fine del 1943, Torino era difesa da tre battaglioni di artiglieria contraerei pesante con cannoni da 88 mm e due di contraerea leggera con mitragliere da 20 mm, appartenenti al Flakregiment 137 (V), che avevano eseguito frequenti esercitazioni per controllare e mettere a punto il piazzamento dei pezzi e delle centrali di tiro (28).
Villar Perosa era invece difesa da tre battaglioni contraerei della Flak, ognuno con diciotto pezzi da 88 mm e circa sei impianti singoli da 20 mm. Oltre che dalle batterie della Flak, l’area del Piemonte era difesa dai Bf.109 G-6 del II/JG.77 di Lagnasco e da una squadriglia di Macchi. C.205 appartenente al I° Gruppo Caccia della neocostituita Aeronautica Nazionale Repubblicana (ANR) con base a Torino Mirafiori.
L’azione decisiva contro l’industria italiana dei cuscinetti ebbe luogo il 3 gennaio 1944. Fra le 11.45 e 11.50, cinquantatré B-17 dei Bomb Groups 2” e 99′ della XV Air Force, scortati da trentaquattro P-38 del 14″ Fighter Group, scaricarono 156 tonnellate di bombe da 1.000 libbre sul grande stabilimento di Villar Perosa dove, dopo la parziale distruzione dello stabilimento di via Nizza a Torino, era stata concentrata la quasi totalità della produzione di cuscinetti della RIV. All’incirca nelle stesse ore, altri cinquantanove B-17 appartenenti ai Bomb Groups 97″1 e 301″ della XV Air Force, scortati da ventiquattro P-38 del 14″ Fighter Group, lanciarono 171 tonnellate di bombe da 500 libbre sugli scali ferroviari di Torino-Lingotto coinvolgendo anche il vicino stabilimento RIV (29).
L’attacco su Villar Perosa fu contrastato da un forte e preciso fuoco contraerei e da due dozzine di caccia, che impegnarono combattimento con i P-38 abbattendone due. I loro avversari furono i Bf.109 G-6 con i quali era stato riequipaggiato il 113G.77, decollati su allarme da Lagnasco alle 10.58. Due vittorie che costarono altrettanti aerei al 11/.1G.77 (30). Invece, la formazione che aveva attaccato Torino, oltre ad essere pesantemente contrastata da un efficace tiro contraerei, fu affrontata da una forza di caccia che gli attaccanti stimarono composta da circa diciotto aerei. In realtà, si trattava di nove MC.205 dell’A.N.R. al comando del maggiore Visconti, che rivendicarono la distruzione di tre P-38. Vittorie confermate dalla XV Air Force, che registrò la perdita di un B-17 ed il mancato rientro di sette P-38, dichiarati dispersi (31). Per due dei sette P-38 dispersi esiste una precisa conferma della perdita, mentre rimane incerta la
sorte dei rimanenti cinque (32). Ciò conferma con un certo margine le vittorie rivendicate sia dai caccia tedeschi che da quelli italiani, Circa la tattica seguita da Visconti – senza alcun dubbio assai pagante – si nota che, invece di andare subito all’attacco dei bombardieri, molto saggiamente egli preferì ordinare ai suoi piloti di scompaginare con un attacco in picchiata i P-38, che volavano a circa 2.000 metri sotto la formazione dei B-17 (33).
Conseguenze dei bombardamenti sugli stabilimenti RIV
312 bombe da 1000 libbre lanciate il 3 gennaio 1944 sullo stabilimento di Villar Perosa, solo 35 andarono perfettamente a segno, ma bastarono per fermarne la produzione, avendo queste distrutto reparti essenziali, quali torneria, rettifiche, sfere e gabbie, e danneggiato anche i reparti fucine, manutenzione macchine e utensileria. Poiché la lavorazione dei cuscinetti era organizzata per traguardi successivi (ognuno comprendente tutte le macchine di una specifica fase della lavorazione), non era possibile riorganizzare in breve tempo la produzione; soprattutto perché erano state messe fuori servizio macchine e lavorazioni che costituivano il cuore del processo produttivo (34). Inoltre, la ripresa dell’attività di Villar Perosa era ostacolata dalle pesanti coperture in cemento armato, il cui crollo aveva prodotto gravi danni al sottostante macchinario ed ai relativi impianti di distribuzione dell’energia elettrica e dei fluidi tecnologici. Un siffatto problema, invece, non sussisteva nelle officine cuscinetti di Schweinfurt, i cui fabbricati in struttura metallica con una leggera copertura avevano offerto sfogo ai gas delle esplosioni, limitando i danni a macchinari ed impianti. Ciò aveva facilitato il ripristino oltre ad accorciare i tempi per la ripresa produttiva.
Le bombe non andate a segno sullo stabilimento di Villar Perosa distrussero o danneggiarono anche vari edifici civili – fra cui Villa Agnelli – e colpirono batterie della Flak causando perdite fra i militari addetti. Tuttavia, grazie alla tempestività con cui era stato dato l’allarme, non si ebbero perdite civili, perché la popolazione e le maestranze avevano già raggiunto i provvidenziali rifugi della RIV.
Al pari dello stabilimento di Villar Perosa, anche la produzione cuscinetti di Torino era organizzata per traguardi. Era quindi bastata la distruzione del 14% dei suoi fabbricati unita a quella del 12% del macchinario di rettifica e del 35% di quello delle sfere, per allungare parecchio i tempi necessari per la ripresa dell’attività. Ripresa poi bloccata da un ulteriore bombardamento eseguito il 29 marzo 1944 da B-17 della XV AF, che convinse la direzione della RIV a spostare il macchinario superstite in sedi decentrate, di cui la più importante fu quella di Orbassano (Torino). Ma anche in quest’ultima sede la tregua fu assai breve. Grazie all’ottimo sistema di informazioni degli Alleati, la sua esistenza fu presto nota. Il 24 luglio 1944, mentre la produzione era appena avviata, cinquantaquattro B-17 dei Groups 30 P’ e 483″‘ attaccarono Orbassano in condizioni di perfetta visibilità, scaricando complessivamente 162 tonnellate di bombe (168 bombe da 1.000 libbre e 312 incendiarie da 500 libbre), con risultati giudicati ottimi dalla successiva ricognizione aerea. Le officine furono gravemente danneggiate da bombe. Due capannoni furono completamente distrutti, altri cinque danneggiati. Le bombe incendiarie appiccarono il fuoco al fabbricato degli uffici ed a due edifici adiacenti (35). Per il resto della guerra, la produzione della RIV non avrebbe più dato alcun problema agli Alleati e quasi nessun aiuto ai tedeschi.
Estratto da Storia Militare, articolo di Ferdinando Pedriali