Su di un modesto rilievo, sul confine tra i comuni di Villar Perosa e San Pietro Val Lemina, a monte dell’ex albergo ristorante di Pra Martino, sorgeva un singolare “campo” (tornato già da tempo al suo primitivo aspetto di zona boschiva) che la tradizione ci ha consegnato come Camp d’Irlanda, Per individuarlo si deve prendere il sentiero che dalla sterrata per il Belvedere (una volta buon punto panoramico, attualmente impedito proprio in questa sua specificità dagli alti alberi che lo circondano) si incontra sulla destra, all’altezza del truc della cascina.
In base al ricordo di alcuni abitanti della Miandassa e delle borgate vicine, esso sarebbe stato così trasformato, in un passato difficile da collocare storicamente, dal lavoro di un gruppo di irlandesi, probabili soldati mercenari che per ben sette anni sarebbero qui vissuti, disboscando il luogo ed erigendovi probabilmente un fortino, come tracce di muretto e di trincee, ancora visibili una trentina di anni fa, farebbero supporre. Le loro discese a valle per procurarsi legname adatto erano particolarmente temute nella zona di San Pietro, dove i danni alle viti che venivano procurati in quelle occasioni, portando via i pali che le reggevano, divennero un motivo che ritornava nei racconti degli anziani quando parlavano di quei forestieri (fonte G. Damiano, Miandassa, Villar Perosa 1997).
Secondo un’altra denominazione del luogo, probabilmente l’originaria e la più attendibile, e cioè Can darlanda (altre grafie possibili: Can dar landa – can d’arlanda), potrebbe derivare una spiegazione differente. La radice preindoeuropea can, indicante altura-rocce, si giustifica infatti bene con l’ubicazione della località in questione, mentre la parte restante del toponimo potrebbe essere un’attribuzione di possesso o un’indicazione di caratteristiche del luogo; così farebbero pensare il termine celtico land per “pianura”, quello piemontese arlan e quello provenzale antico arland, con significato rispettivamente di “sperpero” e di “saccheggio”, che in questo contesto sembrano rafforzare l’idea che su quest’altura sia avvenuto comunque un significativo cambiamento.
Il racconto sopra riportato non sarebbe che il prodotto di un’elaborazione di fantasia, per giustificare un tratto insolitamente piano su questo spartiacque, tenendo però conto dell’informazione linguistica presente e di una certa libertà fonetica interpretativa.
da “Leggende e tradizioni del Pinerolese” di Diego Priolo e Gian Vittorio Avondo (Centro Documentazione Alpina)