A differenza di quanto narra il mainstream l’Iran è un paese di grande cultura. Non solo Persepolis non solo che la seconda comunità straniera del Politecnico di Torino è iraniana ma anche il grande amore per la poesia ed un senso di cortesia fuori dal comune.
Il paese è scosso da violente manifestazioni che probabilmente all’inizio sono state sottovalutate ma che oggi incendiano il paese ben più del 2009 (anno della rielezione farsa di Ahmadjnejad) o del 2019. Protagoniste assolute le donne.
Tutto è iniziato con la morte di Mahsa Amini, 22 anni, fermata ed uccisa dalla polizia religiosa a calci e pugni per non aver indossato il velo in modo corretto. Nella regione del Kurdistan da dove proveniva la ragazza sono iniziate prima le proteste e poi la rivolta con cartelli inneggianti alla guida suprema abbattuti.
Il duro intervento della polizia e dell’esercito non ha fermato la rabbia, anzi. Si è estesa in molte regioni ed è giunta a Tehran, la capitale. La dicotomia tra le nuove generazioni in particolare ed il potere è sempre più evidente e pare inarrestabile. Oggi è stata uccisa un’altra donna Hadis Najafi, 20 anni. Capelli biondi e niente velo una sfida che ha pagato con sei colpi di proiettile. Una nuova morte che non sembra poter spegnere gli scontri ed aumentare il senso di paura del popolo: se la polizia è sempre stata aggressiva (2009 e 2019) oggi anche i manifestanti pare non temano più nulla. Nè arresti nè proiettili.
L’Iran è un paese che nel cuore mi sta. Credo che il tempo di restrizioni e leggi religiose si debba concludere: il potere dovrebbe fare non uno ma dieci passi indietro ed intanto cancellare la polizia religiosa e restituire i diritti alle donne. Lo scontro voluto dal presidente Raisi e dalla guida suprema provocherà solo ulteriori lutti. Il fuoco cova sotto le ceneri e prima o poi diverrà vulcano se non ci saranno interventi di buon senso.
