1.3 Le Miniere di talco
Le prime segnalazioni dell’attività estrattiva del talco in Val Chisone risalgono già intorno al 1200, nei territori della bassa Valle attorno Pinasca e Perosa Argentina. L’utilizzazione delle miniere nell’alta Valle iniziò invece molto più tardi. Tracce sono presenti nei documenti francesi del periodo della Rivoluzione francese. In Val Chisone il talco veniva estratto nei comuni di Roure, Fenestrelle, Usseaux e Pragelato.
Di sfruttamento industriale si può parlare solo nella seconda metà dell’Ottocento, quando la compagnia Baldrac, il Cav. Francesco Alliaud, il Conte Bray da ed il signor Sery, i geometri De Giorgis ed Elleon, l’avvocato Carlo Gay, il signor Eugenio Juvenal, i fratelli Giuseppe, Giovanni e Cirillo Tron, gli inglesi Pathé Bouvard ed Huntriss intervennero nel settore. Inoltre altre ditte operarono nel settore del talco: a Fenestrelle Challier, Martin e Martelli; a Pragelato le ditte Ponzet, Marcellin, Challier e C.; a Prali le ditte Fedele Francesco e C., Ghigo e Griglio; a Roure le ditte Jourdan e Cullati, a Salza la ditta Berthelot e C.
Il giacimento di maggior importanza della Val Chisone era quello della Roussa, presso il comune di Roure, ad un’altitudine compresa tra i 1400 e i 1500 metri.
Nel 1860 Stefano Alliaud, della borgata Balma, che già gestiva una miniera di talco, dopo avere fatto esaminare la composizione di un campione, fece domanda per potere eseguire nuovi scavi per la ricerca di rame a fianco della Rocca della Roussa, nella proprietà comunale. L’autorizzazione gli venne concessa solo per un anno. L’anno successivo l’Alliaud non chiese il rinnovo. Morì poco dopo e, nel 1865, il figlio Pietro Giuseppe ereditò i beni della Roussa, fra cui la miniera della Roussa.
Nel 1878-1879 l’attività di ricerca venne estesa da Alliaud e altri soci alla borgata Garnier9 e a Mentoulles ma con scarsi risultati. Gli incassi della estrazione del talco della miniera della Roussa erano ingenti: circa 23.000 lire dall’agosto a fine dicembre 1871, 33.000 lire nel 1872, 225.000 lire nel 1873, anno in cui la produzione conobbe un picco, per poi calare negli anni successivi10. Le quantità prodotte, fra talco in natura e talco in polvere, furono di 60.347 chilogrammi nel 1872 e di 237.700 chilogrammi nel 1873.
Durante questi anni di forte attività lavoravano nelle miniere circa 300 operai che estraevano 7000-8000 tonnellate annue di talco pregiato fino agli anni precedenti alla prima guerra mondiale. Nel 1880 il comune di Roure procedette ad un nuovo affitto delle cave di talco della Roussa divise in quattro lotti, tre assegnati ad imprenditori locali ed uno concesso a francesi. Dal 1885 iniziò una fase di acquisizione delle ditte minori da parte di quelle più solide, con la cessione delle pertinenze del signor Sery al conte E. Brayda.
La macinazione del talco veniva effettuata in appositi mulini. Il prodotto veniva poi insaccato e trasportato a Pinerolo dove per ferrovia raggiungeva i consegnatari. I mulini erano di concezione molto semplice, essendo costituiti da una ruota idraulica collegata direttamente ai frantoi. Vi lavoravano diversi uomini addetti al funzionamento dei macchinari e parecchie donne che provvedevano alla cernita del talco prima della macinazione11. Queste attività erano denominate “lavorazioni esterne”, poiché non riguardavano direttamente l’estrazione del minerale.
Il talco che non veniva macinato localmente era destinato in Liguria, per essere imbarcato verso l’Inghilterra, dove avveniva la macinazione12. Questa attività era gestita dalla società Talc and Plumbago Mine Company13, ma, nel 1907, si costituì una società a capitale italiano per la macinazione del talco la Società Talco e Grafite Val Chisone14.
Lo sviluppo delle miniere di talco coincise con il massimo sviluppo della comunità di Roure. Infatti all’inizio del 1900, Roure con i suoi 3752 abitanti era il comune più popolato della valle, più di Perosa Argentina (3040) e di Pragelato (1875)15.
L’attività estrattiva aveva creato un indotto nel comune di Roure: operai dei mulini e maestranze che trasportavano dalla Roussa a valle il materiale e dai mulini. Il talco macinato veniva portato in parte alla ferrovia di Pinerolo e in parte a Briançon. Questi trasporti erano effettuati con cavalli, dando lavoro a diverse famiglie. L’avvento degli autocarri cancellò completamente questa forza lavoro.
Con il declino delle miniere la popolazione si spostò lungo la valle verso il cotonificio di Perosa e setificio di San Germano Chisone o verso lo stabilimento RIV di Villar Perosa od emigrò all’estero.
Dal Novecento si registrò il trasferimento progressivo della attività estrattiva verso la Val Germanasca, dove i filoni di talco erano più facilmente accessibili dalla strada e quindi l’estrazione risultava meno costosa. II 1 luglio 1907 venne fondata la Società Talco e Grafite Val Chisone, che progressivamente assorbì le le concessioni degli Alliaud e dei fratelli Tron, diventando la società più grande a occuparsi delle miniere della Val Chisone.
Gli ultimi concessionari a cedere a questo processo di aggregazione furono “i francesi”16, che alla fine non riuscirono ad essere competitivi di fronte alle nuove tecnologie attuate dalla Società Talco e Grafite Val Chisone (le teleferiche). Nel 1914 i lavoratori erano 344; diminuirono con l’inizio della guerra che sottrasse al lavoro i giovani locali. Anche le vendite subirono un rallentamento un po’ su tutti i mercati, ma ciò non si ripercosse in nessun modo sui buoni andamenti degli anni precedenti. Emerge, dalla Relazione agli Azionisti17 dell’anno 1918 da parte del Consiglio d’Amministrazione, che l’Azienda aveva concesso alla diverse “Opere di Beneficenza di Guerra” 105.000 lire.
Tra il 1918 e il 1920 la Società Talco & Grafite riuscì ad ottenere il monopolio dell’attività estrattiva nelle Valli Chisone e Germanasca, con l’ultima concessione riguardante le miniere del Colle della Roussa. Venne costruita presso i cantieri della Roussa una nuova ed efficiente teleferica che andava ad aggiungersi all’analogo impianto del 1906 costruito dall’allora ditta Alliaud.
La Società Talco e Grafite costruì una teleferica che, iniziata nel 1919, entrò in funzione nel 1920 con partenza dalle miniere della Roussa ed arrivo all’entrata della borgata Chargeoir di Roure, nelle vicinanze delle case della famiglia Gelato che erano i principali imprenditori del trasporto del talco.
Col finire degli anni venti del Novecento, nelle miniere sul Colle della Roussa si assistette a un salto tecnologico, con l’allacciamento dei cantieri alla centrale elettrica di Castel Del Bosco e la conseguente introduzione di compressori, pompe idrauliche, argani pneumatici e martelli perforatori18.
In particolare i martelli pneumatici ad aria compressa azionati nelle gallerie alzavano un’enorme quantità di polvere che gli stessi addetti erano obbligati a respirare. La conseguenza diretta fu la silicosi, diventata il principale nemico dei minatori.
Sul Colle della Roussa si raggiunse all’inizio degli anni trenta del Novecento l’apice dell’organizzazione logistica e della produzione. Vi trovavano lavoro quasi 350 operai19 che lavoravano otto ore per sei giorni la settimana, sfruttando un complicatissimo meccanismo di divisioni dei turni, che consentiva di godere periodicamente del sabato libero per fare ritorno a casa. Negli Anni Quaranta in queste miniere si estraeva solo più talco grigio (di scarsa qualità) e il numero degli addetti era calato a 80 unità.
Come si è detto, le miniere di Roure videro un processo di declino in concomitanza con lo sfruttamento delle miniere della Val Germanasca nelle quali la Società Talco e Grafite trasferì gli investimenti. Un altro fatto che disincentivò gli investimenti a Roure fu l’esposizione delle miniere al pericolo delle valanghe che si concretizzò soprattutto negli inverni del 1946 e nel 1953.
La fine dello sfruttamento delle miniere di Roure coincise con una grande nevicata del 1963, quando però già ci si avviava alla chiusura. Una valanga, scesa nella prima domenica di aprile (dato il giorno non lavorativo, non fece vittime), si portò via la palazzina dei dirigenti, alcune baracche e parte della teleferica. Alla fine di quell’anno, come racconta Giuseppe Bouc20, scadeva anche il contratto di appalto delle miniere alla Societá Talco e Grafite Val Chisone e la società aveva già pensato di non rinnovarlo e di trasferire i minatori rimasti alle miniere della Val Germanasca. Fu proprio questa valanga, il motivo per cui venne anticipata la chiusura e l’abbandono degli impianti.
Gli Anni Sessanta furono di espansione per la Società Talco & Grafite. Il materiale estratto venne usato in nuovi settori, come quello degli elettrodi e degli isolanti (1959) e si allargarono le vendite anche al di fuori del Piemonte, acquisendo una miniera in Sardegna e una nelle vicinanze di Livorno. La produzione della Talco & Grafite giunse quindi a comprendere:
- Il Talco delle miniere in Val Germansca presso le località Fontane – Crosetto e Maniglia e gli stabilimenti di Malanaggio e Perosa Argentina dove si teneva la cernita del materiale oltre allo stoccaggio in magazzino.
- La grafite della miniera di Icla – Bruttacomba (San Germano Chisone).
- La steatite delle cave nel comune di Orani in provincia di Nuoro.
- Le produzioni complementari dei due stabilimenti di Pinerolo: l’Isolantite in talco ceramico e l’Elettrodi21 di grafite.
Con questi impianti produttivi, la Talco & Grafite nel 1961 toccò le 79.000 tonnellate di prodotto, con un’esportazione pari al 70% del venduto e un totale di 1580 occupati, raggiungendo così il suo apice. In seguito la società attuò un ridimensionamento costante sino al giorno in cui vendette i suoi stabilimenti alla multinazionale francese Luzenac.
Nel 1962, la produzione fu ostacolata da manifestazioni di operai, in seguito alle quali l’azienda stipulò accordi circa il pagamento dei premi di produzione, fino alla scadenza, l’anno successivo, del contratto di lavoro collettivo. Tutti questi fattori portarono ad una crescita del costo del lavoro che influì sulle esportazioni, poiché, secondo la direzione, il costo del lavoro costituiva il 70-75% del prezzo di vendita.Nelle miniere si registrò un costante calo degli occupati con un relativo ridimensionamento e, in alcuni casi, con la chiusura definitiva di quei settori considerati non più produttivi22. La crisi durò fino al 1967, anno in cui l’azienda, per far fronte alle crescenti difficoltà, intraprese un piano di ristrutturazione tramite l’annuncio ai sindacati di voler licenziare 280 lavoratori.
La produzione venne sospesa per due mesi continuativi per protesta, dal 1° di marzo al 2 di maggio, ma i risultati furono minimi: 116 dipendenti vennero licenziati. Questo fu un duro colpo per l’occupazione in valle. Dopo questa ennesima ristrutturazione la Società contava solo più 570 dipendenti23. In seguito a questa riduzione dei costi del personale, l’anno 1968 fece registrare un miglioramento che permise di far passare l’utile di esercizio da 1.109.446 Lire a 112.192.122 Lire24.
L’anno seguente si registrò un aumento della produttività dovuto alla meccanizzazione e al conseguente taglio dei costi del lavoro e un calo di domanda da parte dei mercati esteri classici e dei settori industriali che avevano fatto uso del talco, come l’industria della carta, della gomma e dei tessuti ecc., i quali poterono allora avvalersi di prodotti succedanei o di minore qualità senza compromettere le loro produzioni.
Nella Relazione agli azionisti del giugno 1971 si segnalava che l’introduzione del nuovo contratto collettivo delle aziende minerarie comportava un aumento del costo del lavoro del 17%. Vista la fase di congiuntura internazionale, questa crescita dei costi non poteva essere trasferita sul prezzo di vendita del prodotto. Si prospettava quindi un nuovo periodo d’incertezza che sarebbe perdurato sino alla metà degli anni Settanta.
La Talco & Grafite per tutti gli anni Settanta e Ottanta continuerà il suo piano di ridimensionamento del personale con incentivi ai licenziamenti volontari, e non assunse più personale. Questo ventennio fu caratterizzato da andamenti economici altalenanti, con fasi di ribassi sempre più profonde e fasi di rialzo sempre meno accentuate. La Società non riuscì mai più a raggiungere quei quantitativi di vendita che avrebbero potuto farla uscire dalla situazione di crisi perenne in cui versò sino alla vendita di tutti i suoi stabilimenti alla Luzenac25.