Geologia Villaretto Chisone

Geologia Villaretto Chisone

RELAZIONE GEOLOGICA RELATIVA AD UN SETTORE DEL VERSANTE SINISTRO DELLA MEDIA VAL CHISONE

(TRATTO CASTEL DEL BOSCO – VILLARETTO) di Tosco Emanuele

1       NOTE DI TERRENO

 

 

 

 

 

 

 

La zona presa in esame presenta una notevole varietà di forme ed una percentuale di affioramento che varia con il variare dell’altitudine; pareti in roccia molto scoscese si alternano a pendii erbosi dalle pendenze molto meno accentuate.

Numerose le creste (alcune delle quali partono già dal fondovalle) con andamento N-S. Normalmente il lato esposto ad ovest si presenta ricoperto da un manto erboso che nasconde quasi totalmente il substrato roccioso.

Meno frequenti le creste con andamento E-W. Non si può identificare un litotipo predominante all’interno dell’area rilevata data la notevole varietà di questi ultimi e la loro relativamente simile estensione areale.

La potenza delle singole litologie, come si può notare dalle carta interpretativa, può variare considerevolmente spostandosi all’interno dell’area. Da ricordare che, data la loro posizione strutturale a quote medio-basse, gli affioramenti di tutti i tipi di micascisti che verranno successivamente descritti, si presentano molto alterati. Questa loro caratteristica rende complicate le interpretazioni di tipo strutturale.

 

1.1    DESCRIZIONE DEI LITOTIPI

 

La descrizione seguirà la legenda della carta degli affioramenti, tranne in alcuni casi dove ho ritenuto più opportuno accorpare litotipi simili sotto un unico paragrafo a causa della loro medesima appartenenza ad un’unica unità strutturale, oppure perché accomunati da caratteristiche petrografiche o strutturali simili.

Per ciò che riguarda i depositi continentali superficiali, ho preferito descriverli in un capitolo unico, nel quale tratto sia l’aspetto relativo ai lavori precedenti, sia l’aspetto relativo a quanto emerso dal lavoro di terreno e successiva elaborazione da me effettuata.

 

 

 

 

1.1.1   FALDA OFIOLITICA DELL’ORSIERA-ROCCIAVRÈ

 

1.1.1.1     Prasiniti ad impronta relitta eclogitica

 

Occupano il settore più a nord dell’area, formano una fascia continua che parte dal Colle dell’Orsiera per arrivare sino alla Punta di Mezzodì.

Queste rocce formano anche una sorta di “cappello” posto sul Monte Gavia (foto n.2), a diretto contatto con i sottostanti calcescisti.

Le rocce si presentano massicce, di colore verde opaco, sono costituite per la maggior parte da una massa verdastra indistinta, nella quale spiccano un discreto numero di granati di dimensioni millimetriche, possibile presenza di onfacite, la cui presenza o meno può essere rilevata con uno studio in sezione sottile.

Nel settore immediatamente ad est del Lago del Ciardonnet si possono notare alcune rocce particolarmente ricche in mica bianca.

Queste rocce, di un colore verde-grigiastro con una patina rossastra di alterazione su alcune parti dovuta ad ossidi di ferro, non sono ricche in granato come le prasiniti precedentemente descritte, mentre i cristalli di mica sono riuniti a formare dei livelletti discontinui intensamente ripiegati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1.1.1.2     Prasiniti

 

Presenti in quantità minore sono le prasiniti, affioranti esclusivamente a sud del Lago del Ciardonnet e alla base del Monte Gavia.

La roccia, d’aspetto massiccio, ha colorazione verde scuro, grana da fine a media, costituite essenzialmente da clorite, anfibolo ed epidoto, mentre le macchiette tondeggianti di colore bianco costituiscono occelli di albite.

Questi formano talora una marcata listatura, ben visibile nella porzione di campione tagliata. I contatti tra queste rocce e le altre all’interno della falda ofiolitica non sono mai visibili, in quanto nascoste dalla copertura eluvio-colluviale.

Queste prasiniti hanno come protolito delle originarie rocce basaltiche, metamorfosate in prasiniti da una fase successiva all’evento eoalpino.

Presenti in piccoli affioramenti, soprattutto a nord della bergeria del Jouglard, lungo il Rio del Selleries, prasiniti ad anfibolo verde, si presentano come rocce di aspetto massiccio e colore verde intenso con cristalli di anfibolo di dimensioni sub-centimetriche ben visibili, talora si rinviene anche una patina di alterazione rossastra dovuta ad ossidi di ferro; queste rocce si rinvengono in rari affioramenti posti a S-E del Lago del Jouglard.

            Nel loro complesso le prasiniti si presentano come rocce massicce, e con un grado di fratturazione medio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1.1.1.3     Serpentiniti

 

            Le serpentiniti sono senza dubbio la litologia più ricorrente, insieme ai calcescisti, all’interno della porzione di Falda Ofiolitica da me rilevata.

Le si ritrovano sparse un po’ ovunque, anche sotto forma di scaglie, quasi mai cartografabili data la modesta entità del corpo affiorante; in alcuni settori, però, la potenza dell’affioramento aumenta notevolmente.

È questo il caso della piramide in roccia del Monte Orsiera, senz’altro l’affioramento più rilevante dell’area per quel che riguarda le serpentiniti.

Questo particolare tipo di serpentinite, presente anche attorno al Lago del Jouglard in maniera abbastanza continua, è molto scistoso (serpentinoscisto), di colore verde scuro, solitamente molto deformato.

Si possono notare pieghe isoclinali, con asse diretto circa E-W e piano assiale immergente a nord; al di sotto delle serpentiniti si ritrova un piccolo corpo di gneiss identico a quello sito nei pressi del Rifugio del Selleries.

Un’altra caratteristica di queste serpentiniti è la presenza di piani di scorrimento ben definiti sui quali spiccano delle mineralizzazioni di color verde smeraldo intenso.

Associate a queste serpentiniti si possono notare in alcuni settori numerosissime fratture riempite da concrescimenti di serpentino fibroso.

Dello stesso tipo sono anche le serpentiniti che affiorano lungo la Valletta Lunga, però in questo caso ci troviamo di fronte ad un gruppo di rocce fortemente fratturate e disarticolate, causa di una tettonica quaternaria che ha portato alla dislocazione di blocchi serpentinitici associati a calcescisti.

            Un altro tipo di serpentinite, questa volta di aspetto decisamente più massiccio del precedente, di un colore verde molto più scuro, si rinviene principalmente sul lato est dell’area (sentiero per il Lago della Manica, Rio di Malanotte e Costa di Glautin). La deformazione è meno accentuata rispetto al tipo scistoso, mentre la fratturazione risulta essere molto più intensa.

Le serpentiniti sono il prodotto metamorfico di rocce mantelliche (le peridotiti), infatti in alcuni casi, è ancora riconoscibile, soprattutto in sezione sottile, l’olivina relitta, costituente primario delle peridotiti (infatti un tempo l’olivina veniva chiamata peridoto).

Caron nel 1977 avanzava, però, l’ipotesi che le peridotiti da cui avrebbero in un secondo tempo avuto origine le serpentiniti, non sarebbero mantelliche. Si tratterebbe, sempre secondo Caron, di ultrabasiti di “cumulo”, decantate in una camera magmatica.

 

1.1.1.4     Brecce a cemento carbonatico

 

Il contatto tra serpentiniti e calcescisti, è marcato da una fascia cataclastica di limitata potenza (solitamente non superiore al metro).

Il contatto tra le due rocce ha prodotto delle brecce anfibolico-carbonatiche, formate da frammenti pluricentimetrici di serpentinite cementati da cemento carbonatico.

In alcuni casi si rinvengono anche alcuni frammenti di calcescisto, molto più rari dei precedenti a causa della minore competenza della roccia. Il cemento deriva dalla probabile dissoluzione e successiva precipitazione della frazione carbonatica dei calcescisti; talora il carbonato si ritrova in masserelle centimetriche di color marrone.

La roccia si presenta di un colore verde intenso, caratterizzata dalla presenza di carbonato e cristalli di anfibolo senza un’orientazione preferenziale.

Si può notare la presenza di cavità di dimensioni centimetriche, derivanti dalla dissoluzione del carbonato (Lago del Jouglard).

Roccia a cemento carbonatico di colore biancastro, talora riunito a formare delle vene di spessore millimetrico. La roccia affiora unicamente ad ovest e a sud del Lago del Jouglard, a circa 2450 metri di quota.

 

 

 

 

 

 

1.1.1.5     Calcescisti

 

Tra le rocce carbonatiche, i calcescisti sono quelli che con più facilità si possono ritrovare all’interno dell’area.

Queste rocce hanno una colorazione marrone chiaro, con un’abbondante frazione micacea che conferisce loro un colore grigiastro lungo i piani di frattura.

Gli stessi calcescisti della Val di Susa sono stati datati come tardo-cretacei da Deville et al. nel 1992.

            Sovente si rinvengono associati a scaglie di serpentinite e di prasiniti ad anfibolo verde (a circa 2400 metri di altitudine, ad est del Lago del Jouglard), di dimensioni generalmente molto modeste, mentre scaglie di serpentinite di dimensioni maggiori si possono ritrovare nelle vicinanze della bergeria del Ciardonnet e sulla parete ad est del Rifugio del Selleries.

I contatti tra i calcescisti e le altre rocce della falda ofiolitica sono tettonici, o comunque riattivati in un secondo momento. Sono sempre evidenziati, ove affioranti, da una fascia di rocce cataclastiche molto fratturate; in particolare in prossimità dei contatti con le serpentiniti, si rinvengono rocce cataclastiche, di colore verde scuro, sono composte da anfibolo verde, i cui cristalli, in alcuni casi ben visibili, raggiungono dimensioni centimetriche.

Le porzioni a carbonato si presentano di un colore biancastro, talora sotto forma di vene, ma anche marrone chiaro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1.1.2   MASSICCIO DORA-MAIRA

 

1.1.2.1     Coperture mesozoiche

 

Sono rappresentate principalmente da marmi, affioranti a nord del Rifugio del Selleries (campione M1 e foto n. 4); si presentano con una colorazione di un bel grigio-azzurro e fortemente fratturati.

L’età Triassico-Liassica (Franchi, 1897), definita in base al ritrovamento di crinoidi, è stata estesa fino al Cretaceo inferiore (Marthaler et al., 1986) per il ritrovamento di presunte globotruncane. Unici elementi di natura non carbonatica sono minuscoli cristalli di mica bianca che si concentrano principalmente lungo i piani di frattura.

Al contatto con i sottostanti micascisti argentei carbonatici, il marmo contiene una frazione micacea molto maggiore e si presenta generalmente meno fratturato.

Spostandosi verso ovest, si incontrano dei marmi dolomitici, con composizione carbonatico-dolomitica, evidenziata dalla bassa reattività con la soluzione di acido cloridrico.

Affioranti quasi esclusivamente ad ovest del sentiero che da Saret del Campo, conduce al Lago del Ciardonnet.

Di aspetto decisamente massiccio, presentano una colorazione molto più tendente al grigio rispetto ai marmi precedentemente descritti (colorazione dovuta alla presenza di impurità al loro interno), ma con alcune bande di colore più chiaro al loro interno.

Entrambi i marmi si sono formati a partire da un originario deposito carbonatico depositatosi in ambiente di barriera.

In prossimità del Colle del Sabbione e lungo il Rio di Malanotte si rinvengono alcuni rari affioramenti di metadolomie di colore bianco-latte, che risultano debolmente fratturate. Tali fratture sono spesso riempite da vene di calcite di scala sub-centimetrica.

L’assenza di reazione alla soluzione di HCl sottolinea la composizione dolomitica di tali litotipi, che pur appartenendo alle coperture del Dora-Maira, in questa porzione di territorio si rinvengono solamente sotto forma di scaglie all’interno della Falda Ofiolitica.

 

 

 

Al contrario di quanto avviene ad esempio in prossimità delle miniere di talco della Roussa (area non interessata da questo rilevamento), esse non sono presenti all’interno della porzione di Dora-Maira studiato, sebbene siano un termine metasedimentario comune della successione di coperture di aree limitrofe.

Il loro protolito è rappresentato da un deposito carbonatico depositatosi in ambiente di barriera, che è venuto a contatto durante la sua storia evolutiva, con dei fluidi ricchi in magnesio.

            In alcuni punti dell’area si possono rinvenire delle quarziti (derivanti dal metamorfismo da originarie arenarie), la cui frazione micacea varia da zona a zona.

A Saret del Campo, queste quarziti si presentano come formate da livelli centimetrici di quarzo quasi puro intervallati da sottili livelletti sub-centrimetrici di mica con poco quarzo.

Generalmente molto fratturate, hanno un colore verdolino dovuto al fatto che la mica presente è fengite.

Si tratta di rocce molto massicce, con all’interno letti di mica bianca di probabile composizione fengitica (Cadoppi, comunicazione personale), discontinui e piuttosto numerosi, i quali conferiscono anche un aspetto verdolino alla roccia

            Quarziti diverse dalle precedenti, per il fatto che roccia presenta un aspetto tabulare (evidenziato dal fatto che l’affioramento è suddiviso in lastroni della potenza di circa 1-1,5 metri ciascuno), queste quarziti presentano una minore frazione micacea rispetto alle precedenti.

Si rinvengono a nord del sentiero che conduce al lago del Ciardonnet, passando per la sorgente al di sopra della bergeria del Jouglard.

Alcuni autori (es.: Pognante, 1980; Borghi et al., 1984), hanno considerato entrambe le quarziti precedentemente descritte, come facenti parte di un’unità strutturale a se stante.

 

 

 

 

 

 

1.1.2.2     Ortogneiss tabulare

 

Con l’aumento del processo di ricostruzione metamorfico-tessiturale nei metagraniti si arriva alla rielaborazione del fabric e alla sostituzione di alcuni minerali con altri di neoformazione.

E’ infatti preponderante in questo litotipo la blastesi di mica a composizione fengitica in piani isorientati che conferiscono alle rocce una caratteristica scistosità.

Si riconoscono inoltre quarzo, plagioclasio e porfiroblasti di K-feldspato quando il fabric magmatico non è stato completamente obliterato.

La mineralogia di questi gneiss è a quarzo, fengite, plagioclasio e feldspato potassico, quest’ultimo presente a volte sotto forma di porfiroblasti.

            Questi gneiss occupano una posizione strutturale immediatamente inferiore a quella dei micascisti argentei; formano una fascia continua e abbastanza ampia e presentano talora una crenulazione.

Questa crenulazione, che ha prodotto pieghe molto aperte, possiede assi diretti NE-SW e debolmente immergenti a N-E.

            L’aspetto che senza dubbio più caratterizza questa roccia, è la sua fissilità lastroide, il che li mette in relazione con la “Pietra di Luserna”, della quale potrebbe rappresentare la continuazione in Val Chisone (Cadoppi, comunicazione personale).

L’aspetto è massiccio, con occhi di K-feldspato ben evidenti, circondati da livelletti generalmente sub-millimetrici di mica bianca.

            Lo stesso tipo di gneiss lo si ritrova, come fatto osservare in precedenza, anche in un unico affioramento all’interno della Falda Ofiolitica (bergeria del Ciardonnet).

Interpretabile come una minuscola porzione di crosta continentale strappata ed inglobata all’interno della falda durante la sua messa in posto, la roccia risulta pizzicata tra calcescisti e serpentiniti.

L’indicazione di un protolito riolitico per questi gneiss, era stato indicato da Vialon nel 1966. La grana e il fabric, suggeriscono piuttosto un’origine plutonica, lo studio sugli zirconi lo conferma [Bortolami & Dal Piaz, 1970; Cadoppi e riferimenti bibliografici all’interno (tesi di dottorato), 1990].

 

            All’interno di questi gneiss si rinviene un unico affioramento di ortoleucogneiss a tormalina (Cadoppi, comunicazione personale), posto a sud della bergeria del Jouglard a 2000 metri di altitudine, delle dimensioni di un paio di metri, composto da una roccia a chimismo acido, derivante probabilmente da un filone aplitico.

            A causa della copertura eluvio-colluviale che ricopre quasi per intero la roccia, i suoi rapporti con le rocce circostanti non possono essere definiti con chiarezza.

Ho quindi preferito identificarlo come leucogneiss a tormalina, non potendo stabilire l’esistenza di un’eventuale giacitura filoniana.

            Caratterizzato dall’avere una grana media costituita da cristalli di mica chiara, quarzo, feldspato e tormalina, la roccia si presenta massiccia a i lepidoblasti di mica, anche se ben visibili e delle dimensioni di alcuni millimetri, non sono sufficienti a definire una scistosità continua.

            L’assenza di una chiara visione d’insieme non permette, inoltre, di collocare l’eventuale intrusione in uno schema temporale.

 

1.1.2.2.1   Micascisti argentei

 

Questo micascisto affiora ad intervalli irregolari a Saret del Campo, a nord del medesimo toponimo e a nord del Rifugio del Selleries, ma in questo particolare caso, data la sua posizione strutturale al di sotto dei soprastanti marmi precedentemente descritti, contiene al suo interno una frazione carbonatica e si presenta di colore grigio scuro e molto alterato.

I ritrovamenti a nord di Saret del Campo sono, invece, privi di frazione carbonatica, di un colore grigio più chiaro dei precedenti, e rivestiti per buona parte da una patina di alterazione rossastra dovuta alla presenza di ossidi di ferro.

Talora questo micascisto può presentare, delle bande con una percentuale di quarzo maggiore del solito.

 

 

 

 

 

E’ il caso di alcuni affioramenti presenti sempre a nord di Saret del Campo, dove si possono notare livelletti discontinui di quarzo poveri in frazione micacea, separati da letti di sola mica bianca. Ho preferito chiamare queste rocce quarzomicascisti, senza però dividerli in carta dal litotipo precedente, considerandole appunto, una variazione composizionali di carattere locale. In questo caso la roccia presenta anche granati di dimensioni sub-millimetriche.

L’origine di questi micascisti è stata indicata da Vialon nel 1966, come il prodotto di trasformazione di originari depositi evaporitici e/o pelitici strettamente associati alle sequenze vulcano-detritiche rappresentate ora dagli gneiss occhiadini fengitici (secondo Vialon “porfiriodi arcosici), mentre Bortolami & Dal Piaz nel 1970 e successivamente Barisone et al. nel 1979, interpretano tali rocce come il prodotto di trasformazione di un originario protolito granitico lungo zone di taglio in accordo con il significato che viene attribuito a rocce con composizione e caratteri simili, intercalate ai granitoidi del Monte rosa (Dal Piaz, 1971), e del Gran Paradiso.

In tutto il settore settentrionale del Dora-Maira si possono distinguere tre tipi di questi micascisti (Cadoppi, 1990):

          Scisti a fengite e quarzo±biotite±granato che si intercalano agli gneiss tipo “Freidour”, e più sporadicamente ai metagraniti porfirici della Val Sangone;

          Sciati a fengite e quarzo±Mg-clorite±Mg-cloritoide±cianite±anfibolo calcico±rutilo di colore bianco argenteo impartito quasi esclusivamente dalla mica bianca; questi scisti si intercalano agli gneiss occhiadini fengitici o al metagranito di Borgone;

          Scisti a fengite+quarzo o a ferrifengite, intercalati sia agli gneiss occhiadini, sia ai leucogneiss a tormalina generalmente in prossimità dei contatti con coperture quarzitiche o carbonatiche.

Personalmente durante l’interpretazione dei dati, ho seguito la suddivisione attualmente accettata, cioè che questi micascisti rappresentino delle miloniti di gneiss, e marcherebbero, quindi, il contatto tra Dora-Maira e Falda Piemontese.

 

 

 

 

 

1.1.2.3     Micascisti grafitici

 

            A contatto con gli gneiss occhiadini e microocchiadini situati nei pressi delle località Balma e Roreto Chisone, troviamo dei micascisti di probabile età carbonifera (Vialon, 1966), molto foliati e senza granati, contenenti però un pigmento grafitico che rende la roccia leggermente untuosa al tatto e di un colore grigio molto scuro.

La frazione grafitica varia, ed in particolare aumenta spostandosi in direzione sud, mentre la mica bianca e il quarzo presenti sono sempre abbondanti.

Alcuni affioramenti si rinvengono, anche sotto forma di scaglie all’interno dei micascisti albitici, nei pressi dell’abitato di Piccolo Faetto.

 

1.1.2.4     Ortogneiss occhiadini e gneiss microocchiadini

 

Gli gneiss microocchiadini e occhiadini affioranti nel settore più a sud dell’intera area rilevata, presentano caratteri diversi tra di loro.

I primi hanno un aspetto decisamente compatto (affioranti a N-W della località Balma), di colore grigio-marrone, in cui i minuscoli occelli di feldspato risaltano abbastanza nitidamente.

Si notano anche degli occhi di mica bianca sub-centimetrici e talora una patina di alterazione rossastra dovuta ad ossidi di ferro.

Gli gneiss occhiadini, invece, che affiorano lungo le pareti ad est della località Roreto Chisone, hanno un aspetto decisamente più scistoso dei precedenti.

Di tipo pervasivo, la scistosità è definita da un’abbondante frazione micacea associata ad ossidi di ferro che le conferiscono in alcuni punti una colorazione “dorata”. Numerosi anche se di dimensioni relativamente modeste gli occhi di K-feldspato.

 

 

 

 

 

1.1.2.5     Micascisti albitici, micascisti a grana da media a fine polimetamorfici e micascisti a grana grossa polimetamorfici

 

Tra i micascisti polimetamorfici, troviamo in linea di massima alcune differenze dipendenti dalla frazione micacea, dalla presenza o meno di granati e dalla grana della roccia.

La struttura scistosa viene definita da letti di mica bianca, generalmente di spessore da sub-millimetrico a millimetrico, quasi sempre continui, crenulati talvolta in maniera molto evidente.

I granati, presenti in quantità variabile, possono essere anche numerosissimi, senza però superare mai i due millimetri di larghezza.

Il quarzo è presente in quantità anch’esso in proporzioni variabili, talora a formare lacci di quarzo, come così pure la mica; solitamente il quarzo lo si ritrova sempre in quantità subordinate.

In alcuni rari casi, i domini quarzosi risultano essere di dimensioni maggiori a quelli di mica. In questi casi la mica presente è sempre mica bianca di probabile composizione fengitica (Cadoppi, comunicazione personale), e si nota generalmente la presenza di ossidi di ferro.

All’interno dell’area, in località Piccolo Faetto, troviamo alcuni rari affioramenti di un litotipo che ho chiamato micascisto albitico, molto più compatto dei classici micascisti presenti nell’area, e con all’interno numerosissimi occelli di feldspato dalle dimensioni sub-millimetriche.

La roccia presenta inoltre un grado di fratturazione molto elevato ed una patina d’alterazione rossastra dovuta ad ossidi di ferro estremamente diffusa.

Come detto in precedenza, è da ricordare la presenza di una scaglia di micascisto grafitico all’interno dei micascisti albitici, presente lungo la strada che dalla località Piccolo Faetto, conduce all’abitato di Gran Faetto.

Di tutt’altro tipo sono invece i micascisti affioranti lungo il versante destro del Vallone di Villaretto. La grana decisamente grossolana è l’aspetto che più li differenzia da tutti gli altri precedentemente descritti.

 

 

Con una scistosità ben definita da numerosissima mica bianca riunita a formare letti discontinui che separano letti di differente spessore formati da quarzo, questi micascisti, talora granatiferi, con granati molto alterati di dimensioni prossime al centimetro, venivano descritti da Vialon (1966), come facenti parte della porzione di Dora-Maira ad essere stata interessata sia dall’orogenesi ercinica e sia da quella alpina.

Il carattere polimetamorfico di questi micascisti è evidenziato dal fatto che alcuni autori (ad esempio Cadoppi nel 1990), hanno rinvenuto all’interno di grossi porfiroblasti di granato, foliazioni pre-St.

Tutte queste rocce rappresentano la porzione più antica del Massiccio del Dora-Maira, essendo probabilmente i derivati metamorfici di rocce pelitico-arenacee riferibili al Permiano (Compagnoni & Sandrone, 1981; Cadoppi, 1990), e presentano un grado di fratturazione generalmente non molto elevato.

Come indicato anche in legenda, si rinvengono all’interno dei micascisti a grana medio-fine delle scaglie di metabasiti eclogitiche, composte da una massa verdastra indistinta molto scura, nella quale spiccano talvolta alcuni granati di dimensioni millimetriche.

Da ricordare che, data la loro posizione strutturale a quote medio-basse, gli affioramenti di tutti i tipi di micascisti sinora descritti, si presentano molto alterati; questa loro caratteristica rende complicate le interpretazioni di tipo strutturale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1.2    DATI STRUTTURALI: DEFORMAZIONE DI TIPO FRAGILE

 

 

Num. Total: 49

 

 

n=49

max. dens.=9.17 (at 277/12)

min.dens.=0.00

Contours at:

0.00,1.00,2.00,3.00,4.00,5.00,6.00,7.00,8.00,9.00

(Multiples of random distribution)

 

       
   
 


I giunti di discontinuità, osservabili e misurabili un po’ in tutta l’area rilevata, sono stati raggruppati in famiglie secondo i loro valori di giacitura, utilizzando un diagramma “Rose” ed un contorno di frequenza (Fig. n. 1).

 

 

Fig. n. 1 – Diagramma “Rose” e contorni di frequenza (diagrammi equiareale di Schmidt, emisfero inferiore), rappresentativi di 49 dati giaciturali di altrettante fratture, non distinte tra fratture relative al Basamento Cristallino del Dora-Maira e fratture relative alla Falda Ofiolitica dell’Orsiera-Rocciavrè.

 

Dall’osservazione del diagramma, è stato possibile riconoscere tre famiglie principali di giunti ed altrettante secondarie o non ben definite:

1.   un prima e ben definita famiglia di giunti, caratterizzata da immersione verso S-E, possiede valori di inclinazione sub-verticali;

2.   una seconda famiglia possiede valori di inclinazione di alto grado, con immersione prevalentemente verso N-W;

3.   una terza famiglia possiede immersione verso sud ed un’elevata inclinazione.

 

 

 

 

 

            Dal diagramma si possono ora rilevare le altre tre famiglie “secondarie”:

1.   una prima famiglia di giunti possiede immersione verso nord ed inclinazione elevata;

2.   una seconda famiglia, forse la meno importante di tutte, immerge questa volta verso SSW con valori di iclinazione molto elevati;

3.   l’ultima famiglia di giunti, forse la più importante tra quelle “secondarie”, possiede un’immersione verso ovest e valori dei inclinazione quasi identici alla famiglia precedentemente descritta.

Le strutture sopra descritte sono state osservate lungo tutto il Vallone di Villaretto, in alcuni punti del Vallone di Rouen, nelle vicinanze del Rifugio del Selleries e negli affioramenti al di sopra della località Vignale, per ciò che riguarda il Dora-Maira; all’interno della falda ofiolitica queste strutture sono, invece, distinguibili un po’ ovunque.

Per ciò che concerne la falda ofiolitica, diversi contatti tettonici si possono ritrovare generalmente al limite tra serpentiniti e calcescisti.

Ciò è dovuto principalmente alla diversa risposta che le rocce hanno al campo di stress. Le rocce al contatto tra queste due litologie sono state identificate come brecce anfibolico-carbonatiche.

Il contatto tra Falda Ofiolitica dell’Orsiera-Rocciavrè e il Massiccio Dora-Maira, come specificato nel capitolo dedicato alle conclusioni, si situa a tetto degli gneiss occhiadini, ed è evidenziato da una banda di micascisti argentei affioranti in modo discontinuo lungo una fascia disposta E-W all’interno dell’area.

            Le varie fratture rilevate, si sono sviluppate lungo piani di debolezza della roccia, interpretabili come fasce ristrette dove si concentra la deformazione, gli sforzi impartiti dal movimento alla roccia hanno prodotto anche uno spostamento, quantificabile, per ciò che riguarda la faglia precedentemente descritta, in un metro circa.

 

 

 

 

 

 

1.2.1   DEFORMAZIONE DI TIPO DUTTILE

 

            Per quanto riguarda lo studio della deformazione di tipo duttile, ho cercato in primo luogo, di riconoscere le varie fasi di piegamento, e di assegnare loro, quando possibile, un ordine cronologico.

Nel fare ciò mi sono basato sul criterio di interferenza geometrica dei diversi sistemi plicativi, osservabili saltuariamente, in alternativa mi sono basato sui diversi stili di piegamento propri delle diverse fasi.

Purtroppo quest’ultimo metodo presenta il non trascurabile problema della diversa risposta agli sforzi che i diversi litotipi presenti hanno alla medesima fase di piegamento.

            Sono presenti nell’area almeno tre diverse fasi di piegamento riconosciute ed indicate anche in carta; ulteriori fasi plicative a grande scala sono state rilevate solamente dopo un attento studio “a tavolino” dei dati di terreno.

            La deformazione di tipo duttile è evidenziata in primo luogo da una foliazione traspositiva fortemente pervasiva, la quale ha originato la scistosità S2 a carattere regionale prodotta dalla fase F2.

Della fase plicativa che ha generato questa scistosità posso riconoscere talvolta lacci di quarzo negli affioramenti di micascisti a granato presenti lungo la strada che porta a Seleiraut.

            Una fase successiva alla S2 (F3), è evidenziata da una crenulazione che ripiega la scistosità regionale, senza però generare nuova scistosità.

Si tratta di pieghe a piano assiale immergente generalmente verso nord, con assi diretti E-W ed immergenti per lo più verso est.

Le strutture relative a questo evento deformativo, presentano pieghe generalmente isoclinali, con dimensioni che vanno dal millimetro al metro.

Come si è detto, all’interno di quasi tutte le rocce, questa crenulazione produce pieghe di tipo cilindrico ed isoclinale.

Per il fatto che le rocce reagiscono agli sforzi in maniera differente, queste strutture si rinvengono maggiormente all’interno dei litotipi del basamento, mentre in alcune litologie più competenti di altre, come ad esempio nelle rocce basiche ed ultrabasiche, si notano piegamenti molto più blandi.

In alcuni affioramenti di gneiss si osserva una fase successiva a tutte quelle sopra descritte, denominata F4.

Le pieghe generate da questa fase presentano un piano assiale circa orizzontale, debolmente immergente verso NNW, e asse diretto NE-SW con debole inclinazione verso NE.

Questa deformazione, in accordo con quanto indicato da Borghi et al. nel 1984, è ben visibile al Truc del Cueulo.

Gli autori riferirono di pieghe megascopiche causate dallo scollamento del Complesso Jouglard-Selleries dal suo substrato.

 

 

 

 

 

            Nella fig. n.2 sono riportate le proiezioni dei dati relativi alla scistosità traspositiva regionale (S2), plottati come poli di piani, entrambi riportati in proiezioni sul reticolo equiareale di Schmidt (emisfero inferiore), e relativi contorni di frequenza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 


 

 
 
Equal area projection, lower hemisphere

 

 

Fig. n. 2 – Proiezioni stereografiche dei dati relativi alla scistosità traspositiva regionale (S2), sul reticolo equiareale di Schimdt, emisfero inferiore

 

            Dal plottaggio relativo al Dora-Maira, comprendente basamento cristallino e relative coperture, si può notare una lieve dispersione di alcuni punti, giustificabile citando il diverso comportamento meccanico delle varie rocce componenti il massiccio rispetto alle coperture, che risultano essere solitamente scollate.

La maggior parte dei piani di scistosità regionale risulta avere un’immersione verso NNW.

 

 

 

            Per ciò che riguarda la falda ofiolitica, la disposizione della nuvola di punti è maggiormente orizzontalizzata in direzione E-W rispetto al Dora-Maira.

In questo caso si nota una preponderante presenza di piani immergenti verso N-W, con un’inclinazione quasi identica ai precedenti.

 

 

 
 


 

Fig. n. 3 – Proiezione stereografica cumulativa e relativo contorno di frequenza, relativa ai dati giaciturali della scistosità traspositiva regionale S2, senza distinzione tra Basamento Cristallino del Dora-Maira e Falda Ofiolitica dell’Orsiera-Rocciavrè.

 

 

Nella foto n.6 si nota una piega serrata in serpentinite, posta ad est della bergeria del Ciardonnet. Come indicato in legenda, al di sotto troviamo degli gneiss tabulari identici in tutto e per tutto a quelli presenti ad est del rifugio del Selleries. La piega in questione possiede un asse con orientazione E-W, riconducibile alla fase deformativa indicata da Pognante nel 1980 come B2.


 

 

 

 

2       FORMAZIONI CONTINENTALI SUPERFICIALI

 

            In generale i depositi continentali superficiali che più facilmente ritroviamo sulle Alpi, sono depositi glaciali dovuti all’attività di trasporto operata dai ghiacciai, conoidi alluvionali, coni detritici di versante, detrito di falda e coperture eluvio-colluviali.

Per quanto riguarda la zona studiata, le cui considerazioni possono essere valide per l’intera Val Chisone, i rilevatori della carta alla scala 1:100.000 (Mattirolo et al., 1910), interpretarono questi depositi come glaciali di vario tipo, legati all’ultima pulsazione glaciale (würm).

Franchi e Novarese, già nel 1895 notarono che il ghiacciaio della Val Chisone non raggiunse mai lo sbocco al fondo della valle, ma si limitò a giungere sino al settore attualmente occupato dall’abitato di Perosa Argentina.

La valle, quindi, presenta due differenti profili trasversali, uno tipicamente ad “U”, caratteristico dell’erosione glaciale, ed uno a “V”, tipico dell’erosione fluviale. Il passaggio da uno all’altro, non è immediato, ma tendenzialmente progressivo.

Infatti, una morfologia glaciale vera e propria, la si ritrova solamente dall’abitato di Pragelato in su, al di fuori dell’area da me rilevata. I tanto potenti quanto incoerenti depositi glaciali di colore bianco-giallallastro presenti sulla destra idrografica, avvalorano tale affermazione.

            Studi più recenti (Giraud, 1985) misero in risalto il fatto che i depositi glaciali nella valle sono difficilmente osservabili.

L’unico certo riguarda proprio il settore da me rilevato, in quanto lo si trova nel Vallone di Villaretto, ad alcune centinaia di metri dall’abitato di Villaretto Superiore.

E’ costituito da una morena laterale, e la presenza massiccia di una componente limosa gli dona una colore bianco-giallastro molto chiaro.

Altra particolarità di questo deposito è la totale assenza di ciottoli sfaccettati (Giraud, 1985). Altra testimonianza della presenza di ghiacciai in epoca passata, troviamo ora alcuni massi erratici, uno dei quali all’interno dell’area da me rilevata, sito a pochi metri dall’ultima abitazione di Villaretto Superiore.

 

 

Un’altra caratteristica della valle, è data dal Torrente Chisone. Quest’ultimo, infatti, scorre sui depositi trascinati a valle dai suoi affluenti laterali (Franceschetti B., comunicazione personale).

            Risulta quindi logico ipotizzare un grande trasporto di materiale solido operato dai vari rii che confluiscono nel torrente Chisone.

            La zona è sede di un fenomeno di dinamica dei versanti molto importante. Infatti sono numerose le così dette “paleofrane” (Forno, comunicazione personale) che stanno ad indicare un deposito composto da blocchi disarticolati che coinvolgono spessori di roccia di notevoli dimensioni (anche 100 metri).

Questi particolari depositi sono stati oggetto di studio approfondito, anche nel tentativo di relazionarle con il sistema di fratture Cenischia-Nizza (Carraro & Forno, 1981; Giraud, 1985).

Altri autori (Dramis, 1984; Sorriso-Valvo, 1984), hanno proposto per questo fenomeno il nome di “deformazione gravitativa di versante”. Alcuni settori della Val Chisone sono inoltre interessati da un’attività geodinamica quaternaria di versante, che ha portato alla formazione di numerosissimi trench, con conseguente formazione di sdoppiamenti di creste e ampie depressioni.

La Regione Piemonte, dato l’alto rischio di frane, ha posto queste zone sotto vincolo idrogeologico.

            Passerò ora ad analizzare più in dettaglio, le varie formazioni quaternarie rilevate all’interno dell’area presa in esame.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Coltre detritico-colluviale ed eluvio-colluviale

 

Sono i depositi in assoluto più diffusi, specialmente nella parte bassa dell’area (dai 2000 metri in giù), dove il substrato affiora in misura minore.

È stato usato il termine di coltre detritico colluviale ed eluvio-colluviale per indicare la probabile presenza sia di prodotti di alterazione di formazioni in situ (eluvium), sia la presenza di prodotti di degradazione superficiale trasportati a valle e risedimentati dalle acque ruscellanti (colluvium), secondo quanto appreso dal corso di Geologia del Quaternario.

            Sia nella carta degli affioramenti, sia nella carta interpretativa, però, questa distinzione non è stata effettuata, in quanto troppo particolareggiata.

 

Depositi alluvionali recenti

 

            Costituiscono l’attuale alveo del torrente Chisone e sono formati da uno strato ghiaioso incoerente composto da ciottoli di varie dimensioni (in generale la grana di questo deposito è sempre molto grossolana; depositi con granulometria inferiore al centimetro li si può incontrare molto di rado e, comunque, sempre associati ad altri con granulometria raramente inferiore ai due centimetri), e di varia natura, associati a ciottoli anch’essi poligenici molto più grossi dei precedenti (dimensioni variabili dai due ai dieci centimetri), e a blocchi di grosse dimensioni, talora superiori al metro.

La causa loro presenza è da addebitarsi al distacco di porzioni di roccia dal vicino Monte Malvicino.

In prossimità dello sbocco dei valloni laterali sul fondovalle della Val Chisone, soprattutto per ciò che riguarda il Rio di Villaretto e il Rio Rouen, si sono impostati i caratteristici conoidi alluvionali, depositi che si creano per il repentino cambiamento di pendenza e la conseguente brusca diminuzione di energia che porta il torrente a passare dal precedente stadio erosionale ad uno deposizionale.

Per ciò che riguarda ilcaso del Rio Rouen, il conoide ha addirittura deviato il corso dell’acqua.

 

 

Depositi gravitativi

 

Sono riscontrabili essenzialmente nella parte alta dell’area (dai 2000 metri in su), sotto forma di detrito di falda e di scivolamenti gravitativi profondi.

            I primi sono stati ulteriormente distinti in:

          detrito di falda a grossi blocchi (superiori al metro cubo);

          detrito di falda a piccoli blocchi (inferiori al metro cubo).

            Sono entrambi caratterizzati dal distacco di elementi di varie dimensioni che si accumulano in prossimità del piede della parete rocciosa da cui si staccano; quando la forma del detrito assume una forma conica si parla di coni di detrito.

Si rinvengono alla base del Monte Orsiera, in prossimità della bergeria del Ciardonnet, nelle vicinanze della Punta di Mezzodì, sul versante sinistro del rio sito nella Valletta Lunga e in prossimità del rifugio del Selleries.

Due affioramenti particolarmente importanti di detrito a grossi blocchi, sono localizzabili vicino alla bergeria del Jouglard e tutto attorno al lago del Ciardonnet.

Altro affioramento di origine gravitativa, è una frana a cavallo tra il Vallone di Villaretto ed il Vallone di Rouen.

Si segnala la presenza di una dinamica di versante in alcune zone poste a circa 2000 metri di quota (ad esempio a nord del rifugio del Selleries, oppure a sud della bergeria del Jouglard). Tale attività è evidenziata da un manto erboso che si presenta discontinuo, simile ad un terrazzamento a piccola scala.

 

Depositi lacustri

 

Per quanto riguarda i due depositi lacustri da me indicati come attuali, bisogna precisare che non si tratta di depositi terrigeni misti a materiale organico, ma semplicemente di depositi sabbiosi molto fini con limitata estensione aerale, situati al Lago del Gavia e al Lago del Jouglard.

 

 

 

 

Depositi glaciali e fluvioglaciali indistinti

 

Affiorano principalmente nei pressi di Saret del Campo (da 2.200 metri a N-W delle bergeria del Jouglard, fino ai 1.900 a sud di Saret del Campo), lungo il Rio di Villaretto, lungo il quale partendo da 2000 metri, giungono sino a 1.300 metri, e nelle vicinanze del Truc del Cueulo a circa 2000 metri di altitudine.

Sono rappresentati da depositi angolosi di potenza variabile dal metro ad alcuni metri, non classati ed eterometrici; le dimensioni dei clasti sono infatti, molto variabili, comunque mai superiori ad alcuni metri.

Gli elementi sono costituiti da litotipi diversi, con matrice il più delle volte medio-grossolana; si presentano solitamente poco compattati e privi di stratificazione.

Un particolare tipo di deposito glaciale, è stato rilevato alla quota di circa 1.350 metri lungo il versante sinistro del Rio di Villaretto. Si tratta di un deposito limoso originatosi da un till di allagamento (Giraud, 1985), di colore bianco-giallastro ben evidente sul versante sinistro del Vallone di Villaretto; particolare è la totale assenza di ciottoli sfaccettati al suo interno (Giraud, 1985).

Da segnalare a pochi metri dall’abitato di Villaretto Superiore lungo la strada che porta alla bergeria del Jouglard, la presenza di un trovante di notevoli dimensioni.

 

 

 

 

 

 

 

3       INTERPRETAZIONE DEI DATI

 

            L’interpretazione dei dati di terreno ha creato notevoli difficoltà, a causa della complessa evoluzione paleogeografica subita dalle varie unità strutturali comprese all’interno dell’area.

A complicare ulteriormente il lavoro interpretativo, vi è una estesa coltre quaternaria che ricopre zone potenzialmente cruciali per poter effettuare una interpretazione precisa dei rapporti tra le varie unità.

Per alcuni affioramenti, proprio per la loro particolare importanza nell’interpretazione di alcune strutture, come ad esempio per le metadolomie all’interno della falda ofiolitica e per le scaglie di metabasiti all’interno del Dora-Maira, è stato necessario esagerare le loro dimensioni.

Per ciò che riguarda le coperture del Dora-Maira, data la difficoltà nel distinguere tra marmi e marmi dolomitici quale fosse il litotipo strutturalmente più elevato, per una maggiore obbiettività ho ritenuto più corretto raggrupparli in un’unica casella all’interno della legenda della carta interpretativa.

I termini inferiori della sequenza metasedimentaria (quarziti e metadolomie), rinvenuta per intero da Marthaler et al. nel 1986 e da Tallone nel 1990 in settori limitrofi al Massiccio Dora-Maira, è necessario precisare che nell’area da me studiata per ciò che riguarda le metadolomie, bisogna rilevare il fatto che compaiono solamente come scaglie tettoniche all’interno della falda ofiolitica; per ciò che riguarda le quarziti, invece, queste è vero che compaiono solamente in rari affioramenti, però in questo caso la loro posizione strutturale è corretta.

I dati di terreno circa il rapporto tra Dora-Maira e relative coperture, non risulta molto chiaro, a causa dell’assenza di affioramenti che possano essere utilizzati per tale interpretazione. La ricerca bibliografica ha però posto rimedio al problema, infatti da lavori precedenti si è potuto interpretare i lembi di coperture a contatto con il basamento cristallino, come unità scollate dal substrato pre-Triassico, e identificabili in un’unità a se stante.

 

 

 

All’interno del Dora-Maira i micascisti a grana medio-fine±granato e quelli a grana grossa a cloritoide±granato, sembrano rappresentare la roccia incassante di antichi plutoni granitici, dai quali si sarebbero successivamente sviluppati, tramite metamorfismo, gli attuali gneiss.

Il leucogneiss a tormalina al loro interno, potrebbe essere il prodotto di un’estrema differenziazione dell’originario magma granitico.

Presenti in rari affioramenti, i micascisti argentei formano una specie di fascia che separa il Dora-Maira dalle sue coperture (a nord del Rifugio del Selleries), e dove queste sono assenti, separano direttamente il Dora-Maira dalla Falda Ofiolitica dell’Orsiera-Rocciavrè.

All’atto della loro interpretazione, ho preferito seguire il modello attualmente ritenuto valido, che vede questi particolari micascisti identificati come miloniti di gneiss, sviluppatesi durante la messa in posto della falda ofiolitica.

Da studi precedenti (Caron et al., 1984), risulta che la sovrapposizione della falda ofiolitca al di sopra del basamento cristallino, sia avvenuta durante le fasi più precoci dell’evento alpino, determinando in seguito un’evoluzione tettonico metamorfica comune. Anche Pognante (1980) e Perotto et al. (1983), considerano il contatto tra falda e basamento come deformato dalla fase da loro denominata B2, ad assi orientati E-W o ENE -WSW. Questi dati portano a considerare il contatto tra la Zona Piemontese e il Dora-Maira, come parallelo alla scistosità regionale.

I contatti tra le varie litologie non risultano essere ben chiari; proprio a causa di questo problema, ho ritenuto per una maggiore obbiettività, considerarli semplicemente come contatti litologici, distinguendo solamente in alcuni casi, come ad esempio nel caso del contatto Dora-Maira/Zona Piemontese, oppure nel caso di scaglie. In questi casi i contatti sono stati ovviamente considerati come tettonici. Nel caso di rocce fortemente fratturate e disarticolate, ho preferito non considerarle all’atto del tracciamento dei limiti sulla carta interpretativa, per il fatto che risulta assai problematico capire se le rocce in questione siano “in posto” oppure no.

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