Le Alpi Occidentali sono una delle catene montuose più conosciute e studiate; di seguito verranno descritti alcuni degli aspetti che maggiormente le caratterizzano e che potranno servire per una corretta comprensione dei dati relativi alle note di terreno.
Fig. n. 2-1 – Schema tettonico delle Alpi Occidentali (da Chiesa et al., 1975; Ogniben et al., 1975; Compagnoni & Sandrone, 1979 con bibliografia).
2.1 CENNI STORICI SULL’ASSETTO TETTONICO-PALEOGEOGRAFICO DELLE ALPI OCCIDENTALI
Nell’ambito delle Alpi Occidentali sono di fondamentale importanza gli studi e, soprattutto, i rilevamenti compiuti tra la fine del secolo scorso e l’inizio del ‘900 dal gruppo italiano formato da S. Franchi, E. Mattirolo, V. Novarese, A. Stella e D. Zaccagna, per la pubblicazione della cartografia geologica regionale alla scala 1:100.000.
Ad essi si deve anche la Carta Geologica delle Alpi Occidentali, alla scala 1:400.000, ancora attuale e preziosa.
Le teorie allora dominanti erano di tipo fissista; si pensava, cioè, che la catena alpina si fosse formata soltanto in seguito a movimenti di tipo verticale ed ogni unità alpina fosse radicata là ove attualmente si trova.
In seguito un gruppo di geologi svizzeri, di cui il più rinomato e geniale fu E. Argand, proposero una teoria decisamente rivoluzionaria: quella faldista o mobilista.
In contrapposizione ai fissisti, i geologi svizzeri intuirono che le unità alpine fossero in parte prive di basamento, scollate e trasposte a causa di forze compressive e movimenti orizzontali.
Le ipotesi dei geologi svizzeri erano in parte avvalorate da un’altra teoria rivoluzionaria proposta in quegli anni, seppur scarsamente accolta: la teoria della deriva dei continenti, il cui principio venne confermato nel 1970, se pure profondamente modificato, tramite studi oceanografici sulle dorsali medio-oceaniche.
Argand ipotizzò una successione paleogeografica e concluse che le Alpi rappresentavano il ripiegamento delle falde di basamento in regime duttile, a grande scala, cosicché per avere la ricostruzione originaria bastava svolgere queste grandi pieghe coricate e i vari domini tornavano ad essere affiancati l’uno all’altro.
F. Hermann (1925, 1930) fu tra i primi a modificare il modello di Argand, intuendo e dimostrando che lo stile tettonico dominante nelle Alpi occidentali era a grandi scaglie listriche.
Si arrivò così ad ipotizzare una evoluzione della catena alpina in più tappe, che vede alla fine dell’Orogenesi Ercinica, uno zoccolo cristallino unitario che si estende dal Sudalpino al continente europeo, sul quale poggiano, in discordanza, i prodotti del sollevamento e dell’erosione della catena Ercinica (depositi continentali e sequenze vulcano-detritiche).
Le condizioni geodinamiche agenti su tale zoccolo sono a carattere distensivo, con processi di assottigliamento litosferico e risalita di astenosfera calda (Permiano).
Il rifting vero e proprio è datato al Lias ed ha come conseguenza più importante l’apertura dell’Oceano Ligure-Piemontese, la cui causa sembra essere legata all’apertura e all’espansione dell’Atlantico centrale (Dal Piaz, 1992). Il bacino Ligure-Piemontese così formato si divide in due parti con caratteristiche distinte.
Nel settore interno del bacino (Zona Zermatt-Saas) si depositano, su di un substrato oceanico, sedimenti argilloso-arenacei ed abbondanti radiolariti. In quello esterno, a substrato sialico assottigliato (Zona del Combin), prevale una sequenza calcescistosa sovrapposta al Lias non ofiolitifero e al Trias basale. Sul margine continentale che delimita a sud-est il bacino oceanico (Serie di Arolla l.s. + Zona Sesia-Lanzo), si colloca probabilmente la serie mesozoica del Monte Dolin.
Fig. n. 2-2 – Paleogeografia classica della Tetide alpino-occidentale, completata con l’età e la distribuzione del metamorfismo di subduzione delle unità della catena (SB: scisti blu, E: eclogitico). SLA: Serie dei Laghi, IV: Ivrea-Verbano; CA: Canavese; lembi Austroalpini settentrionali (MMP: Mont Mary-Pillonet, DB: Dent Blanche); SB/BR: Gran S. Bernardo; MR: M. Rosa-Gran Paradiso; SL: Sesia-Lanzo (Dal Piaz, 1992).
Tra la fine del Giurassico e l’inizio del Cretaceo le placche sono interessate da nuove condizioni geodinamiche di tipo compressivo: si sviluppa una rottura litosferica tra l’oceano Ligure-Piemontese ed il margine passivo adriatico che causa la subduzione e la consunzione del primo (ora associato alla placca europea), sotto il secondo.
Fig. n. 2-3 – Schema del Bacino Ligure-Piemontese (Dal Piaz, 1974).
Le Alpi sono ora caratterizzate da una struttura crostale a doppia vergenza; si può distinguere una catena europa-vergente, o catena alpina in senso stretto, e una africa-vergente, nota anche come Alpi Meridionali o Sudalpino.
Dall’interno verso l’esterno si distinguono:
Dominio Sudalpino
Dominio Austroalpino
Dominio Pennidico
Dominio Elvetico-Delfinese
All’esterno di questi sistemi e all’interno del complesso di falde di scollamento del Giura franco-svizzero è inoltre localizzato il prisma di sedimenti di avanfossa oligocenici-miocenici che costituiscono il bacino della molassa.
Il contatto tra il Sudalpino e la catena a vergenza europea è di tipo tettonico ed è rappresentato dal lineamento Periadriatico, un sistema neogenico di fratture sub-verticali a dominante carattere trascorrente, comprendente da ovest verso est, la linea del Canavese, del Tonale (Insubrica), della Pusteria, della Gaital e della Karawanken.
Ai fini della presente tesi è opportuno spendere un capitolo per descrivere in modo particolareggiato il Dominio Pennidico, in quanto l’area oggetto di studio ricade proprio al suo interno.
Il dominio Pennidico affiora in aree piuttosto estese nelle Alpi Occidentali, mentre nelle Alpi Centrali ed Orientali esso è nascosto dall’Austroalpino e riappare solo nelle finestre tettoniche dei Tauri e dell’Engadina.
Esso è un sistema composito che include unità sia di derivazione oceanica sia di derivazione continentale. Le unità continentali sono la Zona Brianzonese o sistema multifalda del Gran San Bernardo, ed i Massicci Cristallini Interni del Monte Rosa, Gran Paradiso e Dora-Maira.
La Zona Brianzonese-Gran San Bernardo è costituita da un basamento cristallino varisico intruso da granitoidi permiani (Gneiss di Randa), da una sequenza permo-carbonifera e da una copertura mesozoico-eocenica; il termine di Brianzonese è riservato in genere alle sequenze di copertura.
I Massicci Cristallini Interni sono “finestre tettoniche” all’interno della Zona Piemontese .Sono costituiti da parascisti con metamorfismo varisico in facies anfibolitica e sovraimpronta alpina, accompagnati da gneiss occhiadini, ad esclusivo metamorfismo alpino, derivati da granitoidi porfirici di età carbonifera superiore.
Le unità continentali sono coperte dalle unità oceaniche che formano la Zona Piemontese, conosciuta anche con il nome di Zona dei Calcescisti con Pietre Verdi. Essa comprende frammenti di crosta oceanica e una copertura mesozoica sedimentaria caratterizzata da calcescisti (gli “Schistes Lustrés” della letteratura francese).
Fig. n. 2-4 – Distribuzione dei grandi domini paleogeografico-strutturali nelle Alpi (da “Guide Geologiche Regionali” vol. 1, a cura di G.V. Dal Piaz, 1992).
Viene ora proposto un breve capitolo sui massicci antichi, quei massicci cristallini nei quali si rinvengono ancora relitti ercinici e di cui il Dora-Maira fa parte.
Di seguito verranno descritte, a grandi linee, le varie fasi dell’evoluzione geodinamica che hanno portato alla formazione della catena alpina, al fine di potere meglio inquadrare i dati raccolti nel lavoro di terreno.
Fig. n. 2-5 – Modello semplificato attraverso i domini delle future catena alpine, all’inizio della subduzione dell’Oceano Ligure-Piemontese (da “Guide Geologiche Regionali” vol. 1, a cura di G.V. Dal Piaz, 1992).
2.2 I MASSICCI ANTICHI
Dei frammenti della catena ercinica e localmente anche più antichi affiorano al centro della catena dove il tasso di sollevamento è stato più intenso, sono stati ripresi dall’orogenesi alpina e incorporati nella nuova catena che andava formandosi. Si suddividono in tre bande allineate all’incirca parallelamente (Boriani et al, 1974):
ad ovest i massicci cristallini esterni, così definiti perché situati all’esterno del dominio geosinclinale alpino propriamente detto;
a nord il gruppo Monte Bianco-Aiguilles Rouges e Belledonne Grand Rousses;
a sud il Pelvoux e L’Argentera.
Sono costituiti da rocce metamorfiche e da graniti che formano il basamento a cui si sovrappongono in discordanza dei sedimenti paleozoici ascritti al Westfaliano.
Ai celebri graniti delle Alpi (Argentera, Pelvoux…), viene attribuita un’età carbonifera e sembrerebbero legati all’orogenesi ercinica, mentre le rocce metamorfiche che li incassano potrebbero in parte essere legate a cicli più antichi (Boriani et al, 1974).
Dal punto di vista tettonico si può notare come le direzioni strutturali antiche ricalchino abbastanza fedelmente l’andamento attuale dei massicci cristallini esterni, il che suggerisce come l’orogenesi alpina possa essersi impostata lungo le antiche direzioni erciniche (Boriani et al, 1974).
Studi approfonditi hanno portato all’ identificazione di due fasi tettoniche distinte: la fase eoercinica che avrebbe generato sovrascorrimenti di falde a vergenza sud in diversi massicci esterni (Belledonne in particolare), ed una fase tardoercinica responsabile di una tettonica compressiva esercitatasi sui depositi pretriassici (sinclinaux houillers; Boriani et al, 1974).
Al centro segue la grande Zona Brianzonese permo-carbonifera, dove i sedimenti ascritti a tali periodi ricoprono quasi del tutto il basamento che affiora solo nei pressi del Colle del Piccolo S. Bernardo (Boriani et al, 1974).
Stratigraficamente il Permo-Carbonifero Brianzonese presenta alcune caratteristiche peculiari, come l’elevato grado di subsidenza o il vulcanismo associato, ma è dal punto di vista tettonico che si caratterizza in maniera più specifica a causa della doppia vergenza caratteristica (a ovest verso l’esterno a est verso l’interno), dei suoi terreni, dovuta alla tettonica alpina, caratterizzata da scorrimenti e retroscorrimenti (Boriani et al, 1974).
Non si conoscono tracce evidenti di una tettonica ercinica, proprio a causa della scarsa conoscenza del suo basamento.
A est seguono i massicci cristallini interni completamente metamorfici: sono i massicci della Vanoise, dell’Ambin e del Gran Paradiso e del Dora-Maira.
Di difficile interpretazione a causa dell’intenso metamorfismo dei terreni, questi massicci sembrano comunque appartenere alla zona Brianzonese e Piemontese, i cui materiali costituiscono il prolungamento orientale della zona Permo-carbonifera Brianzonese (Boriani et al, 1974).
La prima parte della storia alpina si concentra nei Domini Austroalpino, Pennidico, e Ligure-Piemontese.
Dei molteplici processi ad esso ascritti, i principali sono senza dubbio la formazione di falde si basamento e copertura a vergenza europea e la genesi di tutte le unità ofiolitiche (Dal Piaz, 1992).
Ad esse si associano strutture minori antitetiche nelle zone interne, al limite Austroalpino/Sudalpino (Doglioni & Bosellini, 1987).
Mentre la catena cretacica si sviluppa sul margine attivo della placca superiore, nella fossa oceanica e nei bacini di avan-arco si depositano estese sequenze di flysh cretaceo-paleocenici (Dal Piaz, 1992).
Nei livelli più profondi l’evento eoaplino è caratterizzato dallo sviluppo di un metamorfismo di alta pressione e bassa temperatura (eclogitico in facies scisti blu; Dal Piaz, 1992), diffuso nella maggior parte delle ofioliti alpine e delle unità Pennidiche ed Austroalpine occidentali (Dal Piaz, 1992).
Questo particolare metamorfismo è l’espressione di un’anomalia termica negativa prodotta dalla subduzione di litosfera oceanica, questo processo impedisce il riscaldamento della zona di subduzione e del prisma orogenetico deprimendo le isoterme e mantenendo un regime di temperatura relativamente bassa anche a notevoli profondità (Dal Piaz, 1992).
Questa situazione persiste per circa 80 Ma sino all’esaurimento del processo di subduzione (Dal Piaz, 1992).
Fig. n. 2.6 – Fase iniziale di subduzione della placca europea al di sotto del margine continentale africano (Dal Piaz et al., 1972).
(eocene – oligocene inferiore)
La subduzione litosferica precedentemente descritta ha come ulteriore effetto la traslazione del continente europeo verso la fronte della microplacca adriatica sino a provocare la loro collisione.
L’anomalia termica negativa ne risulta ridotta e progressivamente annullata; l’instaurarsi di gradienti di alta temperatura favorisce lo sviluppo del metamorfismo regionale mesoalpino (Eocene-Oligocene inf.), e di nuove deformazioni duttili (Dal Piaz, 1992).
Le associazioni metamorfiche hanno grado variabile dall’anchizona (coperture Elvetiche ed altre zone esterne), alla facies scisti verdi (Valle d’Aosta, ecc…), ed anfibolica (Ossola-Ticino), talora al limite dell’anatessi, definendo delle isograde che tagliano in discordanza la pila delle falde e della catena cretacica (Dal Piaz, 1992).
La collisione continentale ha come effetto primario l’ispessimento e l’espansione sul piano orizzontale della catena, aggregando alla pila delle falde eoapline porzione sempre più estese del margine passivo della placca europea (Dal Piaz, 1992).
Si producono deformazioni duttili nei settori più caldi e metamorfici della pila delle falde, le prime grandi rotture nell’avampaese europeo ed il distacco delle coperture sedimentarie dal basamento in scorrimento al di sotto della porzione frontale della catena, con formazione di sottili falde di scollamento (Dal Piaz, 1992).
(oligocene)
In seguito alla perturbazione termica mesoalpina si crea un ciclo eruttivo indicato da tempo con il termine di magmatismo Periadriatico.
Il magmatismo Periadriatico è un evento di breve durata (5 Ma circa), che si manifesta durante le fasi avanzate della collisione continentale; il suo nome ha significato geografico e deriva dal fatto che i corpi magmatici sono insediati nella soprastruttura della catena lungo una fascia larga qualche decina di chilometri che segue il lineamento Periadriatico; nonostante l’omonimia i due processi sono diacroni (Dal Piaz, 1992).
Il magmatismo ha un’età oligocenica di 33-29 Ma, contemporaneo con l’inizio della sedimentazione della molassa oligocenica nella Pianura Padana (Dal Piaz, 1992).
Il magmatismo periadriatico è rappresentato dai plutoni di Traversella, Biella (Valle del Cervo), Bregaglia, Adamello, Vedrette di Ries e Pohorje di composizione granodioritico-tonalitica, sienitico-monzonitica e gabbrica, da numerosi corpi minori, da innumerevoli filoni di porfiriti (daciti, andesiti e andesiti basaltiche), e rari lamprofiri e da coperture vulcaniche preservate localmente lungo la linea del Canavese e all’estremità orientale della catena (Dal Piaz, 1992).
Poiché i corpi intrusivi tagliano in discordanza la pila delle falde a vergenza europea, le suture ofiolitiche e le isoterme del metamorfismo mesoalpino, si può concludere che il magmatismo periadriatico rientra in una fase tardiva del ciclo collisionale (Dal Piaz, 1992).
(miocene – attuale)
La fase Neoalpina è successiva al magmatismo oligocenico e determina in modo definitivo la struttura a doppia vergenza. La catena alpina s.s. continua a propagarsi verso l’avampaese europeo con formazione di nuove rotture litosferiche e di sistemi di falde sempre più esterne e recenti.
Il bacino della molassa è traslato in blocco e la sua parte interna è inserita sotto il sistema Elvetico in progressiva deformazione, a cui si associa, nella zona del Giura, lo scollamento delle serie mesozoiche di copertura e la formazione di una catena a falde pellicolari.
Le deformazioni Neoalpine sono prevalentemente fragili anche nel basamento della zona assiale alpina, in generale sollevamento, pur non mancando pieghe a grande lunghezza d’onda. Sul versante interno ha pieno sviluppo il sistema sud vergente delle Alpi Meridionali, svincolato dalla catena a vergenza europea con l’attivazione del lineamento periadriatico (Dal Piaz, 1992).
La fase Neoalpina nelle Alpi Occidentali è sincrona e probabilmente una conseguenza meccanica della rotazione antioraria del Massiccio Sardo-Corso e della formazione della catena appenninica (Kligfield, 1980; Kligfield et al., 1986) che ha portato alla struttura arcuata delle Alpi Occidentali (Hunziker & Martinotti, 1984).
Fig. n. 2.7 – Possibile relazione geometrica tra il fronte compressionale del Monferrato e le Alpi Occidentali durante l’evento neoalpino (Hunziker & Martinotti, 1984).
Fig. n. 2.8 – Diagramma dell’evoluzione delle Alpi Occidentali (Hunziker & Martinotti, 1984).
Per riassumere brevemente il discorso sui massicci antichi e sulle varie fasi che hanno portato alla formazione delle Alpi Occidentali, è utile osservare lo schema n. 1 nel quale vengono proposti in ordine cronologico i principali eventi tettonici e metamorfici riconosciuti nelle Alpi (Dal Piaz,1992)
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Schema n. 1 – Quadro sinottico dei principali eventi tettonici e metamorfici riconosciuti nelle Alpi (Dal Piaz,1992)
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In conclusione di questo capitolo interamente dedicato alle Alpi Occidentali, è senza dubbio utile una rappresentazione grafica che riassuma l’attuale assetto strutturale di questa catena montuosa, in proposito si veda la figura n. 2.1
Abito di preferenza in Val Chisone a Ruata di Pramollo-non riesco ad approfondire una curiosità :”con quali pietre -composizione- sono state costruite le case della zona, nei secoli andati?”
Sarei curioso di conoscere questo dettaglio chissà se è possibile chiarirlo.Grazie