Si tratta di un salume meno nobile, come tutti i sanguinacci, nato per recuperare interamente le parti del maiale, anche la testa, la gola, la lingua e le cotenne. Per prepararlo si fanno lessare le varie parti, si disossano e si macinano. Poi si aggiunge un trito fatto di ciccioli e di cipolle e porri appassiti nel grasso e si unisce il sangue. Qualcuno insaporisce l’impasto con un po’ di vino rosso aromatizzato con la cannella. Tutti quanti condiscono con sale, pepe e spezie (noce moscata, cannella, chiodi di garofano e così via) e insaccano nel budello bovino (la torta), legando poi la mustardela (che pressappoco ha una lunghezza di 20, 30 centimetri e un diametro di 6 o 7) e facendola lessare per una ventina di minuti a 90°C (l’acqua non deve raggiungere l’ebollizione, altrimenti il salume si spacca).
Non ci sono documenti sull’origine della mustardela, ma con ogni probabilità questo sanguinaccio è legato alla tradizione occitana. Tant’è vero che i produttori sono certi di aver visto un prodotto identico in Francia e in Spagna, vicino ai Pirenei.
Se si scende in bassa valle la mustardela non c’è più. Giù si fa un altro sanguinaccio, il budìn, preparato con sangue, latte e spezie e simile ai vicini cugini francesi (boudin) e valdostani (caratterizzati dall’uso delle rape).
La mustardela è una specie di salsicciotto color melanzana. Pastosa e morbida in bocca, ha un sapore speziato e vagamente agrodolce. Si mangia semplicemente lessa, accompagnata dalle patate o dalla polenta.
Un gustoso sanguinaccio da gustare fresco, tagliato a fette e accompagnato dal pane, o passato in padella con le cipolle, come ingrediente principale di un’antichissima pietanza valdese oppure, dopo bollitura, caldo accompagnato da patate (preferibilmente di montagna), purè o polenta.
Le macellerie produttrici, meno di dieci, localizzate nelle Valli Valdesi e nel Pinerolese, hanno costituito un’Associazione.
La Mustardela è stata adottata da Slow Food come uno dei Presidi della provincia di Torino.
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